giovedì 2 aprile 2020
Montato in sette giorni alla Fiera di Bergamo. Un altro segno dell'amicizia tra Ana e popolo russo. A quasi ottant'anni dalla battaglia di Nikolajewka
L'interno dell'ospedale degli Alpini realizzato nell'area della Fiera di Bergamo

L'interno dell'ospedale degli Alpini realizzato nell'area della Fiera di Bergamo - Ana.it

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«L’ospedale realizzato dall’Associazione nazionale Alpini all’interno dei padiglioni della Fiera di Bergamo è pronto». Questo l'annuncio del presidente nazionale dell'Ana, Sebastiano Favero. In una settimana, le “penne nere” sono riuscite a montare ed adattare all'emergenza coronavirus, una struttura con settantadue posti di ricovero in terapia intensiva e altrettanti in condizioni sub intensive. «Un successo - sottolinea Favero - che è stato reso possibile sia dalla stretta e proficua collaborazione tra Protezione civile Ana e Sanità alpina, sempre dell’Ana, sia dalla reputazione di cui gode la nostra Associazione: gli artigiani volontari bergamaschi sono infatti accorsi in centinaia al nostro fianco e, lavorando con competenza, passione e dedizione, 24 ore su 24, hanno conseguito l’obiettivo in soli sette giorni. Uno sforzo che ha potuto anche contare sul fondamentale, generoso e tangibile supporto di numerosissimi donatori, sia a livello locale sia nazionale». Adesso la struttura è pronta ed è stata consegnata all'Ospedale “Papa Giovanni XXIII” di Bergamo. «È con orgoglio - conclude Favero - che posso testimoniare la nuova dimostrazione di vicinanza nell’emergenza dell’Associazione nazionale alpini alla nostra gente ed al nostro territorio: confidando nel fatto che i valori e l’efficacia che esprimiamo convincano sempre più della necessità di trovare per i nostri giovani forme di servizio al Paese che garantiscano anche in futuro straordinarie risposte come questa». Un ringraziamento agli alpini è arrivato anche dal capo della Protezione civile, Angelo Borrelli.


Settantasette anni dopo la battaglia di Nikolajewka, alpini e russi tornano a combattere. Questa volta, però, non nella steppa sconfinata a quaranta gradi sottozero e, soprattutto, questa volta alpini e russi combattono insieme per sconfiggere un nemico comune, subdolo e invisibile, che sta mietendo vittime a migliaia, ogni giorno. Nell'ospedale da campo dell'Associazione nazionale alpini, realizzato a Bergamo, lavorerà la delegazione di medici, infermieri e addetti alla sanificazione, inviata da Mosca. Si tratta di un contingente militare di 104 persone, tra cui 32 medici, atterrato in Italia nei giorni scorsi e già operativo all'ospedale “Papa Giovanni XXIII” per conoscere i protocolli di cura.

Un'amicizia di lunga data

L'amicizia tra penne nere e il popolo russo ha radici lontane e, nel corso degli ultimi decenni, ha visto più volte i soci dell'Ana collaborare attivamente a favore delle popolazioni del vasto Paese ex-sovietico. La “pietra miliare” di questa amicizia è l'asilo “Sorriso” di Rossosch, località dove aveva sede il comando del Corpo d'Armata Alpino, durante la disastrosa campagna militare del '42-'43, conclusasi con la ritirata sul Don, che vide i resti dell'Armir percorrere a piedi più di 400 chilometri, prima di poter rientrare in Italia.

L'asilo “Sorriso” di Rossoch

Inaugurato il 20 settembre 1993, l'asilo ospita un centinaio di bambini, molti dei quali nipoti dei soldati che qui combatterono quasi 80 anni fa. Per costruirlo, partirono dall'Italia decine di squadre di volontari e l'associazione raccolse tra i soci oltre un miliardo delle vecchie lire. Nel corso degli anni, inoltre, l'Ana ha provveduto a più riprese a mantenere in efficienza la struttura, inviando in Russia tecnici e operai specializzati.

Il “Ponte dell'amicizia” di Livenka

Venticinque anni dopo l'inaugurazione dell'asilo “Sorriso”, gli alpini hanno voluto lasciare un altro simbolo in terra russa. Così, il 14 settembre 2018, hanno solennemente inaugurato il “Ponte degli Alpini per l'amicizia”, a Livenka, attuale nome di Nikolajewka. Il manufatto, realizzato in Italia e trasportato in Russia, è andato a sostituire il ponte sul fiume Valuy, diventato un ammasso di ferraglia infestato dalle erbacce, sul quale, il 26 gennaio 1943, passarono gli alpini superstiti della battaglia che consentì agli italiani di sfondare la sacca e tornare “a baita”. Da ostacolo sulla via della salvezza è tornato ad essere collegamento non solo tra le sponde del fiume ma, soprattutto, tra persone che hanno saputo, con la concretezza degli alpini, dare un nuovo “sapore” alla parola fratellanza.

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