giovedì 7 dicembre 2017
Dietro alla Stazione Tiburtina una tendopoli ospita da aprile eritrei, somali, sudanesi. Sono "dublinati", ex-ospiti del circuito di assistenza, richiedenti asilo. Medu: «L'80% torturati in Libia».
(foto Luca Liverani)

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A poca distanza dalle vetrate e dall’alta velocità della Stazione Tiburtina, 120 migranti vivono all’addiaccio, in tendine da campeggio, con temperature di notte vicine allo zero. Qui a piazzale Maslax sono per lo più richiedenti asilo, "dublinati" rimandati in Italia da altri Paesi europei, titolari di protezione umanitaria usciti dal circuito dell’accoglienza, dopo un anno di parcheggio senza alcuna formazione linguistica o lavorativa, indispensabili per l’autonomia.

Se sopravvivono è grazie al volontariato cittadino spontaneo, coordinato dall’organizzazione Baobab Experience, nata dopo lo sgombero due anni fa dell’omonimo centro di via Cupa, all’epoca la principale struttura di accoglienza a Roma per migranti in transito. Questa tendopoli oggi è la prova delle pesanti carenze dell’accoglienza, nella Capitale ma non solo, viste le peregrinazioni di questi migranti. Dal Campidoglio molte promesse, ma finora nessun fatto. Il piazzale è stato intitolato alla memoria di Maslax Moxamed, 19enne somalo arrivato a Roma ad agosto 2016 e aiutato dai volontari di Baobab Experience. Raggiunta la sorella in Belgio, Maslax dopo due mesi viene rispedito in Italia a gennaio 2017, ai sensi del regolamento di Dublino che impone l'esame della domanda di asilo esclusivamente al paese di primo arrivo. Inviato a un Centro di accoglienza straordinaria a Pomezia, sul litorale romano, Maslax si toglie la vita impiccandosi.

Ribattezzata "Baobab Camp", la tendopoli è sorta ad aprile in un grande parcheggio - isolato e inutilizzato - dietro la Stazione Tiburtina. Baobab e Medu (Medici per i diritti umani) hanno garantito finora coperte, tre pasti al giorno, assistenza legale e medica a oltre 2 mila persone transitate a Roma dall’autunno scorso. Di questi, 322 sono stati presi in carico dai consulenti legali di Baobab, 139 hanno presentato domanda di ricollocamento in Europa, di cui 81 hanno raggiunto l’obiettivo. Sono soprattutto eritrei, poi somali, sudanesi, siriani, ma nella tendopoli vivono anche giovani di Ghana e Mali. I dati sono raccolti nel rapporto a cura di A Buon Diritto, Baobab Experience, Consiglio italiano per i rifugiati, Radicali di Roma.


Spiega Andrea Costa, coordinatore di Baobab Experience: «Dal 6 dicembre 2015, quando siamo stati sgomberati dal centro Baobab dal commissario Tronca, a Roma manca ancora uno sportello di prima accoglienza con mediatori culturali, operatori legali e sanitari, dove poter chiedere i documenti o la procedura di protezione. Da allora siamo stati sgombrati altre 19 volte. Finora qui non ci hanno ancora mandati via, forse siamo meno visibili».

«Non siamo ai numeri del 2015, ma tutti i giorni qui arrivano persone che poi proseguono per cercare di "bucare" le frontiere – spiega Giovanna Cavallo di Baobab – e li informiamo su come evitare i trafficanti o li accompagniamo alla procedura di protezione. Molti, arrivati dalla Sicilia, non sono stati affatto informati sulla possibilità del ricollocamento». Difficile perfino fare domanda di protezione: «All’ufficio immigrazione della Questura di via Patini accolgono solo 20 domande al giorno. C’è chi passa la notte lì davanti – dice Francesco Portoghese di "A Buon Diritto" – per arrivare per primo. Ora viene addirittura chiesto il passaporto, o la denuncia di smarrimento, obbligo non previsto dalla normativa». Un egiziano al terzo tentativo a via Patini, andato in commissariato per la denuncia di smarrimento, ha ricevuto un decreto di espulsione.

Medici per i diritti umani (Medu) con la sua clinica mobile fornisce prima assistenza medica o reindirizza alle strutture sanitarie: in 124 uscite tra Baobab Camp, Termini e Tor Cervara, ha fornito 1.542 visite a 868 persone. Il 93% sono migranti forzati, il 68% ha tra i 18 e i 30 anni. Oltre l’80% ha subito torture, stupri, schiavitù nelle prigioni, legali e non, in Libia. Anche 17 dei 47 minori non accompagnati. Di fatto l’80% non ha accesso ai servizi sanitari per mancanza di informazioni, ostacoli linguistici, scarsa fruibilità. «Nonostante i numerosi impegni delle istituzioni – constata Maria Adelaide Massimi di Medu – constatiamo un grave e colpevole vuoto di risposte concrete».

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