sabato 9 novembre 2019
Tra lamiere, plastiche e materassi, si trovano anche tende chiuse con la scritta del Viminale. Gli "invisibili" tornano nelle campagne e organizzano un mini-sciopero per i loro diritti
La tendopoli realizzata (Foto Toni Mira)

La tendopoli realizzata (Foto Toni Mira)

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Si avvicina l’inverno, e la raccolta degli agrumi nella Piana di Gioia Tauro. Il primo anno senza l’enorme e indegna baraccopoli nata nel 2011 dopo la rivolta del 7 gennaio 2010 dei braccianti africani contro le violenze e lo sfruttamento della ’ndrangheta, dei caporali e degli imprenditori. Ma anche senza che siano state create alternative alle baracche. Niente. Malgrado siano passati più di otto mesi dallo sgombero. Restano invece i resti delle baracche, enormi cumuli di rifiuti in parte coperti dalle piante cresciute in questi mesi.

Tutto è rimasto lì, ammucchiato dalle ruspe. Giriamo tra lamiere, plastiche, legno, materassi, reti, intrecciati ai resti delle vecchie tende della Protezione civile. Come a marzo e come a giugno quando eravamo venuti l’ultima volta. L’unica novità sono tende chiuse, dentro i loro sacchi con la scritta ministero dell’Interno. Chi le ha buttate tra i rifiuti? Probabilmente sono quelle che, dopo lo sgombero, erano state aggiunte nella nuova tendopoli che era arrivata ad ospitare fino 850 persone rispetto alle 450 previste. Il 22 marzo, nel rogo di una tenda, quasi sicuramente innescato da un difetto dell’impianto elettrico, era morto Sylla Noumo, 32 anni del Senegal. Dopo il dramma erano state tolte molte delle tende aggiunte, per ricreare spazi di sicurezza. Sono quelle buttate tra i rifiuti? Eppure sembrano in buone condizioni. Un assurdo spreco. L’ennesimo mistero.

Come la presenza dei rifiuti ancora oggi. Eppure l’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini, aveva annunciato un finanziamento di 350mila euro per il Comune di San Ferdinando per risanare l’area. I soldi ancora non sono arrivati ma in realtà serviranno per la gestione della nuova tendopoli. Per i rifiuti non c’è nulla. Il Comune ha fatto un preventivo: servono 330mila euro per smaltire regolarmente i rifiuti e addirittura 2milioni di euro per bonificare l’area, decorticando il suolo e smaltendo il terreno inquinato. Fondi che il Comune non ha e che nessuno sembra intenzionato a trovare. Nessuno, al momento dello sgombero, sembra averci pensato. Bisognava solo abbattere. Una scelta molto diversa da come si è operato nel ghetto di Borgo Mezzanone, nel Foggiano, dove per i quattro sgomberi realizzati quest’anno, tutti i resti delle baracche sono stati immediatamente portati via grazie alla collaborazione della Regione Puglia, mentre, come denuncia nell’intervista a fianco il sindaco, Andrea Tripodi, «la Regione Calabria è totalmente assente».

E non solo per i rifiuti. Infatti da marzo non è stato realizzato nulla per ospitare i braccianti. Tranne la nuova, ma insufficiente tendopoli, che doveva, comunque, essere un sito provvisorio. Non si sono visti i moduli abitativi promessi dal ministero dell’Interno e così l’accoglienza diffusa: nessuno vuole affittare agli africani. Per ora i braccianti arrivati sono ancora pochi. Molti sono ancora al lavoro nel Foggiano. Ma ci sono anche altri motivi. «Non vengono perché hanno paura», ci dice un immigrato. Il clima anche qui è cambiato, già negli scorsi mesi. Ci sono stati degli strani investimenti di immigrati da parte di auto poi fuggite, ci raccontano. E quei pochi arrivati vanno nelle campagne, alla ricerca di qualche casolare abbandonato. Sono gli 'invisibili', che quest’anno sicuramente cresceranno. Il nucleo maggiore è in contrada Russo Spina nel Comune di Taurianova.

Alcuni casolari coperti di teli di plastica, stalle e perfino porcilaie, e tante baracche. C’è anche la baraccamoschea, costruita con lastre di amianto. A marzo, subito dopo lo sgombero della baraccopoli, erano più di 200, ora già una settantina, senza acqua e luce, circondati da cumuli di rifiuti che nessuno viene a portare via. Giovanissimi, alcuni neomaggiorenni. Anche loro ci confermano che quest’anno ci saranno meno persone. Se ne sono accorti gli imprenditori che hanno difficoltà a trovare lavoratori, anche offrendo contratti regolari.

Uno di Melito Porto Salvo aveva bisogno di 5 operai e ha contattato don Roberto Meduri, il parroco di Rosarno da anni al fianco degli immigrati. Ma, almeno finora, non si trova nessuno disponibile. C’è però una piccola importante novità, un inizio di sindacalizzazione dal basso, frutto dell’iniziativa di alcuni immigrati. Quindici di loro, tutti dipendenti della stessa azienda, hanno scioperato per 10 giorni e hanno ottenuto un aumento della paga da 30 a 35 euro. La voce è girata e ora anche altri imprenditori si sono adeguati, anche perché ci sono pochi braccianti. Ma c’è un’altra buona notizia, soprattutto in prospettiva. Pochi giorni fa in Prefettura, si è insediata la Sezione territoriale della Rete del Lavoro Agricolo di Qualità della provincia di Reggio Calabria, prevista dal decreto legge 91 del 2014.

La prima in Calabria e una delle poche in Italia. Si tratta di una sorta di 'white list' delle aziende agricole pulite. Ad essa possono, infatti, aderire le imprese che non hanno riportato condanne penali o ricevuto sanzioni amministrative per violazioni della normativa in materia di lavoro, oltre che essere in regola con il versamento dei contributi previdenziali e l’applicazione dei contratti. Con l’adesione, le aziende sane e virtuose entreranno a far parte di un sistema premiante e vantaggioso, soprattutto per i controlli. Un’iniziativa fortemente voluta dal prefetto, Massimo Mariani, tra i pochi ad attivarsi sul perdurante e gravissimo stato dei braccianti africani.

«È uno strumento efficace – spiega – per rafforzare le azioni di contrasto ai fenomeni di illegalità che caratterizzano l’agricoltura, al lavoro nero e al caporalato. E per elaborare proposte concrete per rendere più efficace l’incontro tra domanda e offerta del lavoro, per migliorare i sistemi di trasporto dei lavoratori e per predisporre un sistema di accoglienza in favore degli stagionali strutturato e ben organizzato, che vada oltre le soluzioni d’emergenza». Ora si attendono le adesioni e gli impegni delle aziende.

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