lunedì 5 dicembre 2016
Il premier oggi da Mattarella con le dimissioni. Padoan non va all'Eurogruppo: si apre il rebus del nuovo esecutivo.
«Il governo finisce qui». Padoan non va a Bruxelles, l'Ue rassicura. Gli scenari
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L'aria era pessima già nel primo pomeriggio di ieri. Tutti gli exit-poll erano negativi. Renzi, in contatto costante con Luca Lotti e il sondaggista Masia, già in quelle ore aveva maturato la decisione di tornare a Roma e stava scrivendo il discorso che avrebbe pronunciato alle 00.15. Giusto un sussulto, una lieve speranza, quando l'affluenza, in prima serata, è decollata. Un dato che poteva avere dentro i semi di una rimonta. Ma nulla, la forbice si allargava e non si restringeva. Dunque la corsa da Pontassieve a Palazzo Chigi e l'allestimento in fretta e furia della solenne Sala dei Galeoni. A fianco la moglie Agnese, punto di riferimento stabile in questi ultimi giorni di campagna elettorale. Poi, nel vestito blu proprio dei momenti istituzionali, le parole che tutti in qualche modo si aspettavano: “Mi assumo tutte le responsabilità. Ho perso io, non voi. L’esperienza del mio governo finisce qui. Volevo cancellare le poltrone, ora devo lasciare la mia”. Matteo Renzi si dimette. E le sue sono dimissioni irrevocabili. Resta una disponibilità di massima a Mattarella a favorire la serena conclusione dell’iter di approvazione della legge elettorale. Ma la decisione non è negoziabile: “Consegnerò con il sorriso la campanella al mio successore”, dice con evidente riferimento al brusco passaggio di consegne tra Enrico Letta e lui nel febbraio 2014.

È evidentemente amareggiato, Matteo Renzi. Si commuove nel ringraziare la moglie Agnese e i figli. Rincuora i militanti che hanno lottato per il Sì, si carica di tutte le responsabilità della sconfitta ma avverte le opposizioni e la minoranza dem che hanno combattuto per il successo del No: “Vi faccio i complimenti. Avete vinto e ciò comporta onori e oneri. Sta a voi fare adesso proposte convinte, serie e coerenti, soprattutto sulla regola fondamentale del gioco, la legge elettorale”.

Sono parole con le quali Matteo Renzi sembra estraniarsi quasi completamente dalla politica attiva. E ciò lascia delle domande che avranno risposte nei prossimi giorni: Renzi resterà segretario del Pd? Dipende da lui, certo. Ma dipende anche dalla Direzione convocata martedì e dai gruppi parlamentari dem. Non è detto che la linea del segretario coincida perfettamente con gli umori della classe dirigente.

Con le parole pronunciate stanotte da Renzi, almeno lo scenario sembra più chiaro. Oggi pomeriggio il premier convocherà il Consiglio dei ministri. Poi andrà al Colle con la lettera di dimissioni. Possibili due ipotesi: la prima è che il suo governo resti in carica come “dimissionario” sino a quando la manovra non sarà approvata, cioè sino a Natale; la seconda ipotesi, meno quotata perché richiede tempi tecnici e chiarimenti politici dentro tutti gli schieramenti, è che si proceda velocemente ad un cambio di esecutivo partendo dall'attuale maggioranza e cercando di capire chi può aggiungersi.

Il ruolo di regista passa a Sergio Mattarella. Tra il capo dello Stato e il presidente del Consiglio c'è stato un filo diretto tutta la notte. Il Quirinale ha capito che non ci sono margini per tenere Renzi inchiodato a Palazzo Chigi. La prima decisione concreta che nasce sull'asse Colle-Palazzo Chigi è quella di tenere a Roma, e di non far partire per Bruxelles, il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan. Oggi c'è l'Eurogruppo, domani l'Ecofin. Ma evidentemente è bene che il titolare del Tesoro resti nella Capitale a presidiare sia la situazione politica sia la reazione dei mercati, in raccordo con Bankitalia. Si tratta anche di un segnale, perché in caso di precipitazione della situazione finanziaria è proprio Padoan uno dei nomi più gettonati come nuovo premier.

Intanto però la reazione dei mercati è contenuta, lo spread non ha le impennate temute. E anche i vertici dell'Ue, all'inizio dell'Eurogruppo, pur in assenza di Padoan lanciano messaggi rassicuranti all'Italia. "Siamo stati tutti toccati dall'esito del referendum - ammette il francese Pierre Moscovici, commissario agli Affari economici -. Renzi ha scelto di dimettersi, voglio
dire che è stato un buon premier che ha fatto importanti riforme sociali ed economiche. Abbiamo fiducia nelle autorità italiane,
è un Paese solido su cui possiamo contare. Mattarella presto darà l'incarico per un nuovo governo, ci sarà continuità". Per Moscovici non vengono meno le pre-intese su migranti e sisma. E il percorso dei prossimi mesi non è in salita: "L'Italia è una grande economia e le istituzioni sono molto stabili. Sapranno gestire la situazione. Non è uno psicodramma, è una vicenda italiana non un voto anti-Ue e non apre una crisi europea". Anche il "falco" Dijsselbloem, presidente dell'Eurogruppo, riconosce che "l'Italia è una democrazia forte". "La reazione dei mercati è calma - spiega -. Non c'è bisogno di misure d'urgenza". Né tantomeno, prosegue, cambiano o peggiorano i problemi già noti, come quello delle banche: "Aspettiamo la conclusione del processo politico"

Renzi esce dalla contesa referendaria con un risultato del 40 per cento che dimostra quanto il Pd con la sua leadership potrebbe
allargarsi rispetto ai sondaggi che ora lo vedono dietro M5S. Ma non è detto che il premier-segretario convinca tutto il partito a seguirlo sulla strada della “rinvincita elettorale” contro il vasto fronte del No che, tutto insieme, ha raggiunto il 60 per cento. Probabilmente ci sarà una fase di transizione in cui Renzi si “autorottama”, si mette alla finestra e aspetta che scoppino le attuali contraddizioni dello scenario politico. Intanto la minoranza dem fa capire di essere pronta a sostenere un governo di transizione e si prepara a sfidare Renzi al Congresso. Già D'Alema ieri notte ha definito "irresponsabile" il ricorso alle urne anticipate. Mentre oggi uno degli sfidanti alla segreteria, Roberto Speranza, si è detto già "al lavoro" per "tenere unito il Pd". Ma in queste ore Renzi sta meditando e sta cercando di capire se davvero può capitalizzare nel Pd e con il Pd, affrontando Congresso e primarie, i 13 milioni e mezzo di voti raccolti al referendum.

Il resto del discorso di ieri notte di Renzi è all'insegna del patriottismo. Il riconoscimento dei risultati “inequivocabili”. Nessuna parola contro il popolo che ha deciso. L’esaltazione della “festa democratica” del voto. Il rammarico è legato al fatto che il suo messaggio di “cambiamento” non è passato. “Ma non è colpa vostra – dice ai militanti -. Un giorno tornerete a vincere e ricorderete le lacrime di stanotte”.

La conferenza stampa notturna è anche l’occasione per ricordare i mille giorni di governo e alcuni dati macroeconomici. “Io sono uno scout, Baden Powell dice ‘lasciate il mondo migliore di come l’avete trovato’. Lascio a chi mi succederà un Paese che è passato dal meno 2 di crescita al più 1, lascio 600mila posti di lavoro in più, lascio l’export che sale e il deficit che scende”.

Renzi consegna quindi la cabina di pilotaggio del Paese al capo dello Stato Sergio Mattarella. “L’Italia sa di avere una guida sicura”, specifica il premier. Il capo dello Stato ora deve fare le sue valutazioni per capire come mettere in piedi una nuova maggioranza. Probabilmente Renzi e i renziani non ostacoleranno il tentativo, ma nemmeno si daranno troppo da fare.

Altri dirigenti del Pd emergeranno in questa fase. Dario Franceschini, Pier Luigi Bersani. Anche il presidente del Senato Pietro Grasso avrà un suo ruolo ed è l'altro grande indiziato per l'incarico di premier. Interessati a formare un esecutivo di transizione sono tutti coloro interessati anche a scrivere una nuova legge elettorale per Camera e Senato di tipo proporzionale: il grosso del Pd non renziano, i centristi e i berlusconiani in primis. Lega ed M5S difficilmente parteciperanno a tavoli e anzi proveranno a sabotarli per accelerare il ritorno alle urne: la loro linea è che si può andare alle urne anche nella situazione in cui si è adesso, ovvero con l'Italicum maggioritario alla Camera e il Consultellum proporzionale al Senato ("con una correzione al Consultellum per la governabilità", ha spiegato ieri notte Grillo sul suo blog). Attenzione massima però a quanto potrebbe accadere a inizio gennaio, quando la Corte costituzionale si esprimerà sull’Italicum e lo correggerà: potrebbe essere la Consulta a “scrivere” di fatto un sistema di voto gemello al Consultellum previsto per il Senato e velocizzare la strada verso le urne.

Ma la legge elettorale non è l’unico dossier che ha tra le mani Mattarella. Occorrerà continuare a verificare la tenuta dei mercati finanziari dopo la partenza positiva del mattino post-voto. E poi l'assenza di Padoan all'Eurogruppo è in qualche modo il segnale di imbarazzo che l'Italia dà all'Europa per questa nuova fibrillazione politica: l’intera partita negoziale con Bruxelles è ancora in itinere, la manovra italiana è parzialmente sub iudice e non c’è ancora un’intesa definitiva su migranti e terremoto. Moscovici, con le sue parole incoraggianti, in realtà chiede anche al Colle di prendere tra le mani la situazione ed evitare un voto anticipato. C’è poi la situazione pericolante di alcune banche, a partire da Monte dei Paschi di Siena: il mercato era quasi in attesa del referendum per capire se era possibile un salvataggio senza mano pubblica. Infine, la durata di un governo di transizione non può prescindere da due importanti appuntamenti internazionali ai quali il Paese non può presentarsi in campagna elettorale. Renzi li ha ricordati: a marzo, a Roma, il ricordo dei 60 anni dai Trattati Ue. A maggio, a Taormina, la presidenza del G7.

Tuttavia, per avere davvero il quadro chiaro occorrerà attendere la Direzione del Pd prevista domani pomeriggio. Qualcuno prevede il remake della direzione che affossò Enrico Letta e consegnò lo scettro a Matteo Renzi. Stavolta a Renzi lo scettro potrebbe essere tolto proprio da chi gli si era avvicinato in quel vorticoso inizio anno del 2014. Insomma, sarà una conta tra chi resterà fedele all'attuale segretario e chi invece gli girerà le spalle. Anche in base a queste dinamiche Renzi prenderà l'ultima decisione circa il suo ruolo nel partito.

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