giovedì 17 febbraio 2022
Il presidente della Corte costituzionale sottolinea che il quesito sull’uccisione del consenziente andava «ben oltre l’eutanasia». Poi insiste: si muova il Parlamento
Il presidente della Corte Costituzionale, Giuliano Amato, durante la conferenza stampa sui referendum

Il presidente della Corte Costituzionale, Giuliano Amato, durante la conferenza stampa sui referendum - Ansa

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«Leggere o sentire che chi ha preso la decisione non sa cosa è la sofferenza ci ha ferito ingiustamente. Il referendum non era sull’eutanasia, ma sull’omicidio del consenziente». Giuliano Amato è appena uscito dalla Camera di consiglio con i giudici della Consulta e ancora non ha comunicato l’esito dell’esame degli ultimi quesiti referendari. Il presidente della Corte costituzionale è atteso per la non comune conferenza stampa che segue le decisioni sugli otto quesiti. «L’omicidio del consenziente sarebbe stato lecito in casi ben più numerosi e diversi da quelli dell’eutanasia», spiega in quella che ritiene una considerazione ineccepibile.

Amato ha una gran voglia di spiegare ai promotori, ma soprattutto agli italiani, le motivazioni che hanno portato alle scelte sui referendum. Le reazioni forti alla bocciatura del quesito sulla morte del consenziente non gli sono piaciute affatto. Il neopresidente non ci sta a sentir parlare di giudici indifferenti alla tragedia umana di chi è colpito da malattie irreversibili. E però, insiste, il quesito «apre all’impunità penale di chiunque uccide qualcun altro con il consenso, sia che soffra sia che non soffra. Occorre dimensionare il tema dell’eutanasia alle persone a cui si applica, ossia a coloro che soffrono. Noi non potevamo farlo sulla base del quesito referendario, con altri strumenti può farlo il Parlamento».

E qui sta uno dei punti cardine che il presidente della Consulta sottolinea meticolosamente, ovvero il ruolo delle Camere. «Sarà che è troppo occupato dalle questioni economiche», ma forse il Parlamento non dedica «abbastanza tempo» a cercare di trovare la «soluzione» sui «conflitti valoriali». Ma, continua il "dottor Sottile", «è fondamentale che in Parlamento capiscano che se questi temi escono dal loro ordine del giorno possono alimentare dissensi corrosivi per la coesione sociale».

Insomma, i giudici della Consulta che, oltre a quello sull’omicidio del consenziente, hanno bocciato il quesito sulla responsabilità civile dei magistrati e quello sulla cannabis, accogliendo invece gli altri 5 referendum sulla giustizia, non hanno «cercato i peli nell’uovo», come aveva previsto Amato prima di chiudersi in Camera di consiglio. «In alcuni casi l’orientamento è stato unanime, in altri prevalente», ma «nessuno ha mai chiesto di votare». Perciò, il presidente replica alle accuse di Marco Cappato (tra i promotori referendari), «che deve la giusta assoluzione nel processo che ha avuto per il caso del Dj Fabo anche alla sentenza di questa Corte, dire che questa Corte fosse maldisposta significa dire una cattiveria che si poteva anche risparmiare in un momento in cui era opportuno riflettere su cosa stava facendo, parlando di eutanasia mentre si trattava di omicidio del consenziente».

Quanto ai quesiti sulla giustizia, solo quello sulla responsabilità diretta dei giudici in caso di errori giudiziari non è stato accolto. La legge Severino «più volte è stata dichiarata dalla Corte conforme alla Costituzione. Abbiamo sempre detto che costituzionalmente va bene, ma non posso dire che è costituzionalmente dovuta. Si esprima il corpo elettorale, poi vedremo», dice Amato, ricordando che i giudici si limitano a rimettere la scelta agli elettori e che «non possono toccare il quesito».

Invece, prosegue dritto, «abbiamo dichiarato inammissibile il referendum sulla responsabilità diretta dei magistrati. Perché essendo fondamentalmente sempre stata la regola per i magistrati quella della responsabilità indiretta, la introduzione della responsabilita diretta rende il referendum più che abrogativo». In sostanza, «qui stiamo parlando della responsabilita dei magistrati per i quali la regola diversamente da altri funzionari pubblici era sempre stata della responsabilità indiretta».

La palla, dunque, passerà in parte agli elettori e in parte al Parlamento, con cui la Consulta intende dialogare, «anche a voce, per maggiore chiarezza» sui singoli temi su cui le Camere devono lavorare. Una risposta diretta al presidente del Comitato per la Legislazione Stefano Ceccanti, che gli ha presentato il rapporto dei lavori del 2021.

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