domenica 17 gennaio 2021
La microcriminalità giovanile e la pandemia: le responsabilità della società e il ruolo degli educatori. Don Claudio Burgio: «Il lockdown non c’entra, gli adolescenti sono vittime dell’egoismo»
Maxi-rissa tra minorenni a Gallarate (Varese)

Maxi-rissa tra minorenni a Gallarate (Varese) - Ansa/Youtube

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Baby gang che si fronteggiano nelle piazze, figli che picchiano i genitori (a Trento due gemelli di 13 anni sono finiti in una comunità di recupero perché prendevano a botte la mamma). E gruppi di giovanissimi che in chat divulgavano materiale pedopornografico e inneggiano al nazismo, come nello squallido giro scoperto martedì in mezza Italia dalla polizia postale. Da quando è cominciata la pandemia gli episodi di microcriminalità con protagonisti gli adolescenti sono sempre più diffusi. Dalla maxi-rissa provocata da un centinaio di scalmanati nel centro di Gallarate, nel Varesotto, dove sono volate mazze e catene, agli scontri che spesso si accendono a Centocelle, periferia est della Capitale, dove la movida è trascesa in violente gazzarre sotto gli occhi impauriti dei residenti del quartiere.

A Pinerolo, vicino Torino, cinque ragazzi dai 14 ai 16 anni hanno gettato «per scherzo » da un cavalcavia dell’auto- strada un masso del peso di 8 chili che ha sfondato il cofano di una vettura di passaggio. Il conducente si è salvato per miracolo. Altri sette ragazzi, la scorsa settimana sono stati sorpresi della polizia nel parcheggio del Comune di Benevento mentre sfasciavano «per gioco» un mezzo di servizio.

E a Lucca, tre giorni fa, due bande di minorenni si sono date appuntamento attraverso i social sulla sponda del fiume Serchio per prendersi a bastonate senza un motivo. Durante la zuffa, uno di loro, 16 anni, ha tirato fuori un coltello e per poco non c’è scappato il morto: un quindicenne è stato colpito con un fendente che gli ha reciso l’intestino. È in prognosi riservata. Alla rissa avrebbero partecipato una ventina di ragazzi, tutti studenti delle superiori, senza precedenti.

A Siena, la commissione diocesana per la tutela dei minori ha espresso «viva preoccupazione per un fenomeno di violenza fatta da ragazzi travolti dal clima di anonimato e disagio che li porta a bullizzare coetanei stranieri, o più piccoli, o altri ragazzi isolati ». L’organismo dell’arcidiocesi di Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino è intervenuto dopo che la procura minorile ha emesso misure cautelari nei confronti dei cinque adolescenti che la scorsa estate avrebbero compiuto atti di violenza in città.

Ma cosa sta succedendo? È davvero tutta colpa del lockdowne della “didattica a distanza” che impedisce ai ragazzi le normali relazioni con gli altri? O esiste, invece, un malessere più profondo, legato alle paure dei grandi e capace di travolgere i giovani più fragili che non hanno punti di riferimento? «A mio parere, tranne gli episodi che avvengono all’interno della famiglia, dovuti alla forzata convivenza in casa, non si tratta di condotte da associare al lockdown o alla pandemia, anche se queste condizioni sono comunque pesanti» sostiene don Claudio Burgio, cappellano del-l’Istituto penale minorile “Cesare Beccaria” di Milano e fondatore dell’associazione Kayrós che da oltre vent’anni gestisce comunità di accoglienza per minori e servizi educativi per adolescenti.

«Si tratta piuttosto di un percorso avviato da tempo – spiega – le cui origini vanno ricercate nella cultura individualista, che mette al centro l’“io” e non la comunità o l’appartenenza sociale: è così che si arriva inevitabilmente al conflitto ». «La questione è sempre la stessa: cosa trasmettiamo noi adulti ai ragazzi? Che conta solo l’interesse personale».

È la ragione per cui spesso domina in loro un’immagine narcisistica di se stessi. «Ecco perché – aggiunge don Burgio – a una sfida su Instagram non possono tirarsi indietro: temono che il loro “io” si svilisca. E nessuno li aiuta a capire che non è così. Il bullismo, per esempio, nasce da un sistema perverso che serve per difendersi e non è, di per sé, un attacco: se la prendono con i deboli per tutelare la propria immagine e “rispettabilità” - conclude il sacerdote –, la parola chiave dunque è “comunità”, e non “immunità”». L’unico modo per salvarsi.

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