martedì 22 maggio 2018
Realismo e tenacia per agire su mentalità, scelte ed errori determinati dalla legge
Quarant'anni di 194, l'ora di andare oltre
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Se potessimo scegliere tra due ipotesi astratte – una società con norme che legittimano l’aborto, ma in cui peraltro l’aborto non avviene mai, e una società con leggi che proibiscono sempre l’interruzione volontaria di gravidanza, ma dove nonostante la regola, l’aborto è di fatto frequente – quale dovremmo dichiarare preferibile?

È evidente che la preferenza dovrebbe andare alla prima. Questa è una delle ragioni per cui nel pensiero di alcuni il problema della legge ingiusta viene messo in disparte e si lavora soltanto per superare la legge iniqua con il solo metodo dell’aiuto alle gravidanze difficili o non desiderate. Ma le ipotesi sopra formulate sono astratte: non esistono nella realtà. È provato che le leggi permissive aumentano il numero degli aborti. Questo è tanto più vero oggi quando la prevenzione dell’aborto è divenuta largamente un effetto dello stato di coscienza individuale e sociale. La legge è percepita come un’indicazione di valori, una guida all’azione. Essa contribuisce potentemente a formare la mentalità del popolo e dei singoli. (...) La rimozione della legge ingiusta è un obiettivo ineliminabile.

Ma, realisticamente, le difficoltà sono enormi perché la legge 194 in Italia è divenuta la bandiera di importanti formazioni politiche attualmente maggioritarie. Sembra, dunque, che il criterio della gradualità quale espressione di tenacia operosa debba essere accettato. Gradualità non significa legittimare l’ingiustizia, nemmeno in piccola parte, ma guadagnare spazi di giustizia il più largamente possibile in vista di un risultato finale. Un’azione diretta al cambiamento della legge 194, in una logica di realismo e di gradualità, dovrebbe almeno rimuovere le equivocità e le insincerità che sono presenti nella legge stessa, la più grave delle quali maschera sotto l’apparenza di un aborto ammesso in casi particolari l’applicazione del principio di au- todeterminazione.

Ma, forse, la tenacia operosa e il realismo esigono disegni più ampi, che, senza attaccare direttamente la legge 194 propongono in modo chiaro l’identità umana del concepito. (...) La prima ipotesi d’intervento legislativo capace di diminuire l’aspetto più conturbante e sovversivo dell’attuale normativa riguarda la funzione dei consultori familiari. Una riforma che rendesse evidente lo scopo esclusivo di evitare l’interruzione della gravidanza è coerente con il sentimento abbastanza generalizzato della «preferenza per la nascita». Nessuno può giudicare negativamente il lavoro svolto dai Centri aiuto alla vita (Cav). I consultori familiari pubblici dovrebbero svolgere la stessa funzione dei Cav in modo molto più ampio.

Quando la legge 194 fu discussa in Parlamento non pochi, che pur la sostenevano, attribuirono ai consultori familiari la funzione esclusiva di aiutare la donna a proseguire la gravidanza, come, del resto, si può ritenere in base ad una corretta interpretazione dell’articolo 2. Purtroppo, però, questo scopo dei consultori, è stato largamente stravolto nell’attuazione pratica. Essi vengono concepiti come strumenti di accompagnamento della donna verso l’aborto e quindi, sostanzialmente, come garanzie dell’autodeterminazione. La logica avrebbe dovuto essere opposta: lo Stato non punisce più l’aborto, ma fa tutto il possibile sul piano del consiglio e dell’aiuto affinché la gravidanza prosegua.

Purtroppo, l’abbandono della funzione descritta nell’articolo 2 sta giungendo ai limiti estremi, al punto che talune autorità amministrative escludono i medici obiettori dai consultori e, addirittura, pretendono di trasformare alcuni consultori in ambienti dove si possono praticare interventi abortivi. Non è possibile limitarsi a dire dei “no” a queste ulteriori forme di destrutturazione dei consultori. Bisogna passare all’attacco e chiedere una totale riforma dei consultori in modo che l’art. 2 sia applicato senza deviazioni.

Una riforma dei consultori in modo da renderli efficace strumento di tutela del diritto alla vita dei concepiti, indirettamente riconoscerebbe l’identità umana del concepito, che deve essere l’obiettivo finale del servizio alla vita a livello culturale e giuridico. Ma è necessario, allora, che la funzione consultoriale sia trasparente e inequivoca. Ciò esige una totale estraneità dei consultori rispetto all’iter abortivo. La loro deve essere una funzione alternativa all’aborto, ben percepibile, come avviene per i Cav.

I NUMERI

84.916 aborti nel 2016

59.423 donne italiane che hanno abortito

25.503 donne straniere

57,8% donne nubili

42,2% donne sposate

43,9% donne senza figli

47,4% con un’occupazione stabile

7.796 confezioni di pillola del giorno dopo vendute in Italia nel 2012

189.589 vendute nel 2016

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