mercoledì 16 dicembre 2020
A Natale quattro milioni di italiani costretti a chiedere aiuto per il cibo. Le altre emergenze? Casa e lavoro
Persone in fila al Pane quotidiano di Milano

Persone in fila al Pane quotidiano di Milano - Fotogramma

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In fila per chiedere il pane. Nelle strade, rivendicando il diritto alla casa. In piazza, a difesa del lavoro. Scene quotidiane di resistenza, mista a protesta e a disagio sociale, sono quelle a cui stiamo assistendo in questa lunghissima vigilia di Natale, che si trascina ormai da settimane. «Il momento è cruciale, la risposta è la solidarietà» ha scritto papa Francesco in un messaggio inviato ieri alla Coldiretti, chiedendo a tutti, a partire dal nostro Paese, di «intraprendere sempre nuove strade nella via della carità e della solidarietà, per una risposta globale e più vera al fenomeno della povertà e della disuguaglianza fra i popoli».

Questo aspetto, quello di una risposta creativa alla filiera crescente del disagio sociale, è forse quello più inaspettato: proprio due giorni fa, per fare un esempio, a Padova le Cucine economiche popolari, un’istituzione cittadina dal 1882, hanno deciso di aprire anche la sera per quanti dormono per strada e non accedono agli asili notturni. Il servizio era stato sospeso lo scorso marzo, in concomitanza con l’inizio dell’emergenza Covid, e ogni giorno già distribuiva un pasto caldo a circa 150 persone. Ora non lascia, raddoppia.


Chi sono i più penalizzati dalla crisi sociale attuale?
Dalle partite Iva ai piccoli imprenditori,
ogni giorno una categoria scende in piazza.
Sono l’altra faccia dell’emergenza

I numeri dicono che ben quattro milioni di italiani nelle prossime feste di Natale saranno costretti a chiedere aiuto per il cibo da mangiare nelle mense o con la distribuzione di pacchi alimentari a causa della crisi economica legata al Covid. È il volto della "pandemia sociale" che la prima linea del volontariato conosce ormai dall’inizio di marzo: l’aumento improvviso di persone che bussano ai centri Caritas, le richieste di aiuto che arrivano nelle parrocchie e nei patronati del sindacato. Facce mai viste prima di allora, perché a essere colpito dalla pandemia è stato anche quel ceto medio impoverito, uscito già indebolito dalle ultime crisi economiche. I nuovi poveri che nel 2020 si sono presentati per la prima volta ai centri di ascolto sono passati dal 31% al 45%. Gli italiani sono la maggioranza, al 52% (in crescita rispetto al 47,9% dell’anno prima). Si tratta sempre di più di di più sono famiglie con minori, donne, giovani che dal precariato sono passati alla disoccupazione.

L’altro fantasma è proprio questo: il lavoro. La cassa integrazione e il blocco dei licenziamenti per i lavoratori delle imprese sono stati prorogati fino a marzo 2021, ma cosa accadrà dopo, quando il paracadute di Sato verrà meno? E come farsi carico delle richieste del mondo non garantito delle partite Iva, degli artigiani e dei piccoli imprenditori? Non c’è stata piazza, in questo autunno Covid, che non sia stata percorsa da manifestazioni e proteste: si tratti del mondo del commercio, della ristorazione, del turismo. Oltre due terzi delle aziende, secondo il report pubblicato dall’Istat sulle imprese riferito al periodo giugno-ottobre, ha subito un calo del fatturato mentre quasi un terzo (il 32,4%) ha segnalato rischi per la sostenibilità della propria attività. Circa 73mila imprese sono rimaste chiuse mentre 17mila hanno segnalato che non riapriranno più. Il 37,5% delle imprese ha richiesto il sostegno pubblico per liquidità e credito, ottenendolo nell’80% dei casi. Il 41,8% ha usato ammortizzatori sociali.

L’ultimo versante dell’emergenza è quello della casa. Ci sono famiglie, ha documentato Avvenire, soprattutto al Sud, che dormono in auto, mentre crescono i senza dimora: oltre 850mila famiglie in povertà assoluta devono anche provvedere a pagare un affitto. Un’emergenza nell’emergenza, che merita risposte chiare al più presto.

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