sabato 16 maggio 2015
Utili in picchiata, smobilitazione del servizio universale e nessuna idea sul futuro: il sindacato contro il piano Caio
Il viceministro: «L’Italia rischia anche un’infrazione Ue»
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«Il governo Renzi accenda i riflettori su Poste Italiane: non riuscirà mai a vendere il 40% della società se gli scoppierà in mano la protesta dei portalettere. Questa è un’azienda che ha fatto l’Italia ma può anche disfarla: se Poste Italiane perde il rapporto con i cittadini cui consegna ogni giorno lettere e giornali il suo brand sul mercato non vale più nulla» Non è uno che le manda a dire Mario Petitto, calabrese trapiantato a Cuneo: cioccolato e ’nduja, sindacalista vecchio stampo, capace di accompagnare una ristrutturazione aziendale attraverso i sentieri più dolorosi ma anche di bruciarti senza esitazioni un piano industriale come quello presentato a fine anno da Francesco Caio, Ad di Poste Italiane, che prevede migliaia di esodi incentivati, un taglio lineare del servizio universale e la consegna della corrispondenza a giorni alterni. Bruxelles ha già detto no. L’Agcom ni. In alcune regioni, il sindacato ha proclamato lo sciopero degli straordinari. Petitto rappresenta il 53% di tutti i lavoratori postali che hanno una tessera in tasca, ha guidato il Slp-Cisl per anni e ora affianca Annamaria Furlan nella gestione della Federazione dei postali.Perché vi siete scontrati con Caio?L’ingegner Caio parte da una considerazione politica: vuole gestire l’azienda a prescindere dalle forze sociali. Peccato che lui non sia un politico ma un manager e che non si sia mai vista la ristrutturazione "in solitaria" di una società come le Poste. Eppoi, numeri non lo aiutano: la gestione Sarmi ci ha lasciati con un miliardo di utile e Caio l’ha portato a 200 milioni, i volumi sono crollati e la sicurezza del lavoro anche. Non ritiene che Poste Italiane abbia bisogno di essere riorganizzata?È quello che chiediamo ed è bene che si sappia che l’errore del piano industriale è esattamente quello di anticipare i tagli al personale e ai servizi prima dell’adozione di un nuovo modello organizzativo. In pratica, si postula che si deve introdurre la consegna a giorni alterni al 25% della popolazione perché gli italiani "dovranno" diventare tutti digitali e allora si tagliano portalettere e uffici postali; mentre nel 2014 la consegna della posta ha perso 600 milioni, si parla tanto del postino digitale senza ricordare che le strumentazioni in dotazione sono obsolete e che gli appalti tardano a partire, non si è fatta formazione e mancano le procedure. Cosa pensa della scelta di consegnare la posta a giorni alterni?È un’opzione sul tavolo da anni ma confligge con il ruolo sociale delle Poste. Una cosa è prendere atto che alcune località non riescono a essere servite quotidianamente, un’altra è smobilitare il servizio universale. Eventualità peraltro esclusa dalla Comunità europea, per fortuna. Già adesso, quando i cittadini si lamentano di ricevere il giornale in ritardo, non sanno che la nostra produttività è calcolata in base al volume di corrispondenza e che se questa cala si aumentano i chilometri del percorso che deve compiere il portalettere. Il quale, se si trova a servire un’area di settanta chilometri al giorno… fa quel che può! Il punto è che non è accettabile trasformare l’emergenza in norma e ratificare che il diritto al recapito della corrispondenza è solo sulla carta: significa vanificare il diritto all’informazione.Caio vi considera un freno alla produttività?È ora di finirla di dire che il sindacato è un freno, che le Poste sono uno stipendificio e altre amenità. Noi siamo forze sociali che difendono i lavoratori: ci preoccupiamo del futuro di 145mila dipendenti ma anche degli utenti che sono il loro mercato. Sono anni che collaboriamo alla riorganizzazione: quando eravamo statali i dipendenti erano 220mila e ancora oggi incoraggiamo i dipendenti più anziani in servizio a darsi una mossa, ad affrontare con entusiasmo i percorsi formativi, a non aver paura delle innovazioni. Ma gli italiani devono sapere che sugli impiegati delle Poste è piovuta una serie di adempimenti cui non erano preparati e che comportano responsabilità tali che ad ogni errore oggi si viene licenziati. Così come devono sapere che 45mila dipendenti sono giovani ed entusiasti. Abbandoniamo gli stereotipi.Cosa pensa della privatizzazione?Senza il percorso non esiste la méta.Sindacalese?Va bene, siamo più chiari: chi comprerà il 40% di una società che oggi perde soldi e che affronta la riorganizzazione tagliando i servizi che l’hanno resa forte e autorevole - facendone il volto dello Stato italiano sul territorio - e dichiarando guerra ai sindacati? Etihad ha preteso l’accordo con i sindacati per prendersi Alitalia. Per chi investe, il fattore umano è la prima risorsa: non a caso la privatizzazione delle poste britanniche è iniziata con una cessione di quote (gratuita) ai lavoratori; ci piacerebbe che in Italia si arrivasse a coinvolgere i dipendenti nella governance aziendale. Ma questo management ha idee diverse e io chiedo: sono le stesse idee della proprietà?
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