domenica 11 agosto 2019
Funerali ristretti lunedì 12 a Milano per la fondatrice del Centro di aiuto alla vita di Milano, scomparsa venerdì scorso per una improvvisa malattia.
Paola Bonzi

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Paola Marozzi Bonzi, fondatrice e direttrice dello storico Cav Mangiagalli di Milano, è morta venerdì pomeriggio a Brindisi, per una inaspettata e fulminea malattia che l’ha colta durante una vacanza con il marito, come già scritto ieri sul giornale e su avvenire.it. Paola Bonzi aveva 76 anni, due figli e quattro nipoti; i suoi funerali saranno celebrati lunedì a Milano, nella cappella della clinca Mangiagalli, in forma ristretta. Sarà poi ricordata con una Messa il prossimo 9 settembre.

Ci sono a Milano e altrove 22.702 bambini e ragazzi e ormai uomini e donne, che non sanno di dovere la vita anche a una signora che si chiamava Paola, e che è morta venerdì, a 76 anni. Difficilmente le madri di questi figli avranno raccontato loro la verità: sai, io non ti volevo, ero sola, o ero povera, ma in un ufficio della Clinica Mangiagalli ho incontrato una signora, che mi ha dato il coraggio di tenerti. Non sono cose che una madre dice a un figlio. Su quelle drammatiche esitazioni si tace. Però una donna ricorda. E non dimentica.

La prima volta che ho incontrato Paola Marozzi Bonzi è stato diversi anni fa nello storico ufficio del Cav della Mangiagalli. Antico tempio, allora, dai muri ingialliti, e interminabili corridoi. Echi lontani di grida dalle sale parto, e di trionfanti vagiti di nuovi nati. Ma a quella piccola stanza del Cav dal 1984 bussavano quasi furtivamente, come temendo di entrare, giovani donne spesso sole, ai primissimi mesi di attesa. Magari già con il certificato per l’IVG in borsa. Con un’ombra però di dubbio addosso, un dubbio che più cercavano di zittire e più gridava: «E se... ?».

Paola Bonzi era allora una bella signora bruna, sorridente, le palpebre e le lunghe ciglia nere calate sugli occhi ciechi. Aveva avuto la prima figlia e aveva cominciato a perdere la vista; con il secondo la cecità si era aggravata, fino a lasciarla pochi anni dopo nel buio. Ha scritto nel suo ultimo libro, 'Per un bambino': «Quando sono nati i miei figli, Cristiana e Stefano, continuando a tenere lo sguardo su di loro, neonati, mi perdevo nel chiedermi: come è stato possibile tutto ciò?». Lo raccontò anche a me quel giorno, come i suoi ultimi sguardi si fossero fissati sui suoi nati – su quel miracolo che una donna non può non vedere, quando riconosce che da lei è nato un uomo. Perdere la vista dopo il parto, che disgrazia, mi dissi. Eppure tutto nel volto di quella signora diceva altro: non di una condanna, ma, incredibilmente, di una sofferenza che aveva generato un bene più grande. Stavo ad ascoltarla zitta.

Erano anni ancora di durissima battaglia sulla 194. Molti, fuori e dentro la Mangiagalli, avversavano la Bonzi. Non sentii in lei traccia di quel moralismo duro che purtroppo scorre anche in certi sinceri pro life: il giudizio, la condanna, la parola non benigna che lascia sole. Paola Bonzi non giudicava. Ascoltava, e diceva: se vuoi ti aiutiamo. Una faccia amica, e pannolini, viveri, a volte anche un tetto. Con fondi raccattati con iniziative di ogni tipo, con frequenti rischi di chiusura, con contributi pubblici faticosamente conquistati (nel 2007, anno di grave difficoltà, il Governatore Formigoni destinò al Cav Mangiagalli 500mila euro della Regione).

22.708 donne dal 1984 si sono attaccate a quella mano tesa. Pensavo a cosa fa pendere la volontà di una donna sull’invisibile, vertiginoso crinale di un 'sì' o di un 'no'. Mi raccontò Paola Bonzi: «Lei si immagini di avere davanti a sé una ragazza che le dice di essere incinta. Fa la badante o magari la precaria, e la prima cosa che perderà con la maternità è il posto. È straniera, spesso sola. Ti azzarda esitante quel pensiero: ma voi, se io tengo il bambino, mi aiutereste? E tu sai che non stai negando un impiego, ma sei davanti a un aut-aut, stai decidendo della vita di un bambino. Sarebbe terribile, dover trovarsi a dire: no».

Tornai da Paola anni dopo. Uscivano dal suo ufficio in quel momento due ragazzi giovanissimi. Lei parrucchiera, lui precario a 400 euro al mese. Eppure lei, 18 anni, quel bambino lo voleva. Mi immaginai la Bonzi ancora una volta in sala d’attesa, trepidante nell’attesa di un vagito, di una madre bambina da abbracciare. È stata una grandissima donna. Nel buio della sua cecità si è aperta una porta di misericordia. Una sola volta vidi i suoi occhi. Erano verdi, bellissimi. Pensai istintivamente agli occhi delle gatte che covano la cucciolata, materne ma pronte a difendere i piccoli, devote alla vita. Una madre, grande, questo Paola è stata. Di 22.702 figli, che non sanno.

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