mercoledì 5 agosto 2020
In città le richieste d’aiuto sono cresciute del 300%. Le storie dei nuovi poveri, paralizzati dalla vergogna. Ad aiutarli coi progetti di intervento finanziario c’è la Fondazione Buon Samaritano
Volontari della Caritas

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Dai primi di luglio è partito il viaggio di “Avvenire” nella «pandemia sociale»: l’inchiesta che racconta l’emergenza economica causata dal coronavirus. Città per città, territorio per territorio, il nostro impegno porterà ai lettori la fotografia di un’Italia piegata dal Covid-19. Famiglie in difficoltà, imprese a rischio usura, vecchi e nuovi poveri aggrappati alla solidarietà dello Stato e delle molte associazioni cattoliche in prima linea.

Più di cento richieste d’aiuto in un mese. Famiglie che non riescono più a sopravvivere. Che già vivevano in condizioni molto difficili e che col Covid-19 sono finite nel baratro. Sono quelle che si sono rivolte alla Fondazione antiusura Buon Samaritano di Foggia. Ben 85 hanno ottenuto prestiti da 500 a 2mila euro, grazie a un finanziamento di 150mila euro della Regione Puglia. Apparentemente poco, ma tanto per chi è ridotto davvero alla fame. Ed è una facile vittima degli strozzini. Più del 90% non aveva mai bussato alla porta della Fondazione, nuovi poveri.

Con una crescita che preoccupa. «Prima ascoltavamo 15 persone a settimana, ora 30-40 al giorno – ci spiega il presidente della Fondazione, Pippo Cavaliere –. Le domande accolte sono state circa il 90%. Non più di 5 avevano già avuto aiuti dalla Fondazione. Gli altri tutti nuovi». Famiglie già a rischio che ora con l’epidemia non ce la fanno più. «Il 50% sono persone che sbarcavano il lunario con lavori di fortuna, lavori in nero, badanti. Col Covid si è bloccato tutto e non avevano più niente per vivere. Persone che vivevano già in condizioni precarie. E che il Covid ha fatto precipitare». Un altro 30-40% sono persone in cassa integrazione, spesso ancora in attesa dei pagamenti. «Vengono a chiedere perché sono venute meno le entrate necessarie, indispensabili per vivere».


Ossigeno nei prestiti da 500 a 2mila euro concessi grazie
a un finanziamento di 150mila euro della Regione Puglia: «In passato li abbiamo assegnati
a chi poteva restituirli. Oggi non abbiamo garanzie»

La Fondazione dal 1997 ha erogato prestiti per più di 15 milioni di euro, ma una situazione come questa non l’aveva mai affrontata. «Noi possiamo concedere i prestiti se c’è un minimo di capacità reddituale. Finora le persone che si erano rivolte alla Fondazione, in un modo o nell’altro, dimostravano di poter prima o poi restituire questi soldi. Ora dobbiamo aiutare anche chi non dimostra queste garanzie».

A loro si rivolge il finanziamento regionale, con condizioni particolarmente favorevoli. Sono microcrediti che la regione chiama “piccoli prestiti” da restituire in 60 rate in 5 anni con un periodo di preammortamento di 6 mesi in cui pagare gli interessi. Ma siccome non sono previsti interessi, cioè sono prestiti a tasso zero, nei primi 6 mesi non si paga nulla, e dal settimo mese cominci a pagare le rate, al massimo 37 euro al mese. Ora la regione ha pubblicato un altro avviso per ulteriori 150mila euro. Ed è molto importante perché, avverte Cavaliere, «continuiamo ad avere richieste. Ci telefonano in continuazione».

Un aiuto prezioso anche per non finire nelle mani degli usurai. «Qualcuno ci ha fatto intendere che si era già rivolto “all’amico di famiglia” o “a quello della porta accanto”. Noi abbiamo percepito quello che definiamo “il consenso sociale”, persone che hanno offerto gratuitamente un aiuto, una strategia messa in atto dalla criminalità per poi farli sentire in debito. Oggi ti dò 50 euro, un buono per acquistare alimenti in un supermercato, poi tra qualche mese potrò aver bisogno di te».

La mafie «fanno leva sulla disperazione di questa povera gente. Enfatizzando i ritardi dello Stato. “Vedete che non vi aiuta? Invece noi siamo in grado di aiutarvi subito”. Un discorso che viene fatto a chi ha bisogno e soprattutto agli operatori economici. Abbiamo saputo anche di prestiti a tasso zero, come fa lo Stato. Tanto sanno che non li restituiranno e quindi prima o poi si impossesseranno dell’attività economica. È il modo più semplice per entrare nel mercato».


La strategia degli strozzini è il consenso sociale: davanti alle difficoltà ci si rivolge “all’amico di famiglia”
o “a quello della porta accanto” (che garantisce subito liquidità e poi presenta il conto)


Ma chi è venuto a chiedere aiuto alla Fondazione? Soprattutto famiglie con figli e con genitori di 40-50 anni. Storie davvero pesanti. F. è vedova con figli a carico, ed è affetta da una patologia tumorale, con destino segnato, senza speranza. «Venendo meno per il lockdown le modeste entrate provenienti da lavori occasionali – ci raccontano i volontari – ha supplicato e ottenuto un aiuto da destinare alle tasse universitarie per un figlio, rinunciando all’acquisto dei farmaci di cui ha bisogno. Prima una giovane vita di una che sta finendo».

Storie di disperazione, come quella di P., titolare di una modesta attività economica a conduzione familiare. A seguito del lockdown non è riuscito a mantenere degli impegni precedentemente assunti per cui ha subito il distacco dell’Enel. «Il blocco totale dell’attività per la pandemia e la mancanza di energia elettrica, l’ha condotto in uno stato di disperazione e prostrazione, e ha messo in crisi l’armonia familiare. Provava un profondo senso di vergogna nei confronti dei figli».

I volontari che l’hanno ascoltato hanno temuto che pensasse al suicidio. Una vita, si spera, salvata proprio sul baratro. Ma ancora tante attendono un aiuto concreto, anche per non diventare vittime degli strozzini. «Più grande è la disperazione – denuncia Cavaliere – maggiore è la possibilità di lucrare. Ecco perché l’usura è il reato più odioso che esiste».


C’è chi ha perso il lavoro e si è reinventato bracciante a 5 euro all’ora, chi ha venduto la casa perché non riusciva a pagare il mutuo
.



Per questo i volontari si impegnano con convinzione. «La possibilità di essere utili in un periodo così doloroso di diffusa difficoltà economica, ci ha arricchiti profondamente. Abbiamo visto le persone soffrire, abbiamo ascoltato i loro problemi, abbiamo toccato con mano la povertà, abbiamo sofferto con loro e abbiamo cercato di aiutarle», ci confessa uno di loro.

E racconta una storia che lo ha molto colpito. Un cinquantenne, disoccupato, separato dalla moglie, con tre figli, i due più piccoli affidati alla madre, la figlia sedicenne, studentessa, con lui. Con il reddito di cittadinanza pagava l’affitto di casa, alle necessità quotidiane faceva fronte con piccoli lavori di riparazione a domicilio. Ma con il lockdown nessuno lo chiamava e quindi aveva grosse difficoltà a mettere il piatto a tavola. «Ma ciò che lo faceva soffrire più di tutto era la situazione di disagio nei confronti della figlia. Mentre compilava i moduli di richiesta del microcredito, l’abbiamo visto asciugarsi le lacrime ed abbiamo pianto anche noi. Gli abbiamo donato un aiuto economico ma anche altre cose: la dignità di padre e anche la speranza che nei momenti di difficoltà può esserci qualcuno che ti soccorre come il samaritano».

QUI LE ALTRE PUNTATE DELLA SERIE "PANDEMIA SOCIALE"

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