sabato 3 giugno 2017
Il sindaco di Pieve Torina, Alessandro Gentilucci: «Fondamentale essere a Roma, ma adesso vogliamo risposte». Sono ancora 32mila le persone costrette fuori casa
Il sindaco di Pieve Torina, Alessandro Gentilucci

Il sindaco di Pieve Torina, Alessandro Gentilucci

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Tantissimi i primi cittadini arrivati ieri a Roma dalle Marche, dove i paesi colpiti dal sisma sono 87 e dove la ricostruzione viaggia lentissima, persa negli intoppi burocratici e nei ritardi. Soltanto ad Arquata del Tronto, in provincia di Ascoli, sono arrivate le prime “casette”, ma nel Maceratese neanche l’ombra. Sul fronte sfollati la situazione resta difficile: sono 32mila circa le persone costrette fuori casa, di cui quasi 28mila in autonoma sistemazione e 4mila in alberghi e camping: a centinaia, però, devono ora traslocare in altre strutture ricettive per far posto ai turisti estivi. Di nuovo comunità costrette a separarsi, dunque. Un dramma nel dramma, che sembra non aver fine. «Manca un’interlocuzione diretta con il governo, un negozio di biancheria, una ferramenta, un negozio per animali. Intorno, non c’è più nulla», spiega il sindaco di Pieve Torina, Alessandro Gentilucci.

Perché ha partecipato alle celebrazioni del 2 giugno a Roma?

La presenza alle celebrazioni del 2 giugno, dal punto di vista istituzionale, è stata fondamentale. Siamo chiamati a rappresentare la nostra gente. Nessun sindaco del Maceratese, il territorio più devastato, era però in prima fila. E mentre si è in cerca della procedura perfetta e ineccepibile dal punto di vista burocratico, la nostra terra muore.

Quali sono le difficoltà che ancora dovete affrontare? Qual è il problema più urgente?

Il territorio è ormai desertificato. In paese abitavano 1.500 persone, il più grande di quella parte della provincia, dopo Camerino. Ora siamo rimasti in 250. Le uniche attività aperte, in una manciata di container, sono il bar, la tabaccheria, la farmacia, Il popolo dei commercianti, degli artigiani, è stato completamente abbandonato, dimenticato. Non ci sono locali disponibili, e non sono ancora arrivati i container. A distanza di sette mesi, queste persone si sono arrangiate, tirano a campare. Siamo in attesa del contributo dei 5mila euro (una tantum), per loro non è prevista altra forma di integrazione di reddito. Ma queste persone, in gran parte sfollate sulla costa, che hanno perso casa e lavoro, hanno figli da mantenere. Non solo: stiamo perdendo un patrimonio intero, quello dei servizi. Pieve Torina aveva 53 attività commerciali, tra artigiani, fabbri, marmisti, pizzerie e ristoranti, era un polo di fondamentale importanza per tutto il circondario.

A che punto siamo con l’arrivo annunciato delle “casette”?

Ci stiamo prodigando per averle, ma il rischio è che arrivino i moduli abitativi e la gente non abbia un posto dove fare la spesa. La procedura per le Soluzioni abitative d’emergenza (Sae) è complessa e costosa. In ogni caso, dalla Regione ci hanno detto che ad agosto dovremmo averle. E saremo già a dieci mesi dal sisma.

Può verificarsi l’eventualità che le casette arrivino ma i cittadini non vogliano più andarci, avendo trovato intanto soluzioni alternative?

Non voglio neanche pensarci. E comunque se accadrà che, ad agosto, ancora non avremo i moduli abitativi, l’azione di protesta sarà eclatante. Non possiamo più permetterci di aspettare, non c’è più tempo. Basta pensare che a settembre ricomincia la scuola. Queste zone dovrebbero avere la priorità a livello di interventi. Dobbiamo passare il prima possibile dalla fase interminabile di piena emergenza a quella della ricostruzione.

Insieme ad altri 12 sindaci del “cratere”, avete scritto una lettera a Gentiloni un paio di mesi fa, sollecitando risposte. Qualche sviluppo?

Siamo ancora qui a chiedere un intervento urgente.

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