sabato 4 agosto 2018
Altre dieci vecchie motovedette, se ci sarà il via libera della Camera, finiranno nelle mani delle milizie autoproclamatesi Guardia Costiera libica. Ma l’Aja indaga per violazioni
L'aula di Montecitorio (Ansa)

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Una decina di vecchie motovedette aspettano l’ok dalla Camera per poter finire nelle mani delle milizie (almeno tre secondo l’intelligence sul posto) che si sono autoproclamate Guardia costiera libica.

Una decisione, quella che il Governo italiano vuole confermare, che rischia di arrivare prima che si pronunci la Corte penale dell’Aja che da oltre un anno indaga proprio sull’operato dei guardacoste di Tripoli. Gli investigatori della procura presso il Tribunale internazionale stanno verificando una serie di segnalazioni circostanziate. Non solo denunce di attivisti e giornalisti (compresi i reportage di Avvenire acquisiti dall’Aja), ma soprattutto i rapporti di Antonio Guterres, il segretario generale delle Nazioni Unite che più volte ha accusato di violazioni dei diritti umani proprio le autorità libiche, arrivando a parlare di «condotta spregiudicata e violenta da parte della Guardia costiera libica nel corso di salvataggi e/o intercettazioni in mare».

«I presunti crimini contro i migranti – ha ribadito l’ufficio del procuratore internazionale nelle settimane scorse – sono una questione seria che continua a riguardare il procuratore». Violazioni commesse sia in mare che su terra, dove gli emissari del Palazzo di Vetro «hanno anche documentato l’uso di forza eccessiva e illegale da parte dei funzionari del Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale».

Lunedì il dibattito alla Camera sulla concessione di mezzi navali a Tripoli potrebbe arrivare ad un voto. Nei giorni scorsi il presidente del Partito democratico, Matteo Orfini, in una lettera al nostro giornale, pur ritenendosi «convinto che si possa e si debba ritenere accettabile proseguire nella cessione di motovedette alla Libia», ha affermato che questa operazione debba avvenire «solo a patto che quel Paese dia garanzie concrete sul rispetto dei diritti umani e sull’uso che di quelle motovedette verrà fatto». Una condizione che, ad oggi, i libici hanno mostrato di non essere in grado di rispettare come dimostra, se non altro, il mistero ancora non risolto intorno al salvataggio di Josefa, la camerunense abbandonata in mare insieme a due cadaveri rinvenuti dai volontari di Open Arms. Per Orfini, non si può dare l’ok alla cessione dei mezzi navali militari se prima non diventa «obbligatorio che, quando sono in mare, su quelle motovedette sia presente un osservatore internazionale per verificarne il modus operandi».

Un appello a tutti i gruppi parlamentari, «e in particolare al Pd, perché il voto della Camera abbia un esito diverso da quello del Senato, e al Presidente Fico e ai Presidenti delle Commissioni Esteri e Affari costituzionali perché autorizzino rapidamente una missione parlamentare in Libia», arriva da Riccardo Magi, segretario nazionale dei Radicali Italiani. «Con il decreto motovedette - aggiunge - noi stiamo dando strumenti, assetti della nostra Guardia Costiera e della nostra Guardia di finanza per rafforzare la Guardia Costiera di uno Stato che non esiste, per riportare persone salvate in mare in un paese non sicuro».

C’è ancora molto da sapere sulle reali condizioni dei migranti intrappolati in Libia: 679,897 persone di 42 nazionalità, l’8% dei quali sono minori, informa la missione Onu nel Paese (Unsmil) in un aggiornamento diffuso ieri. I primi cinque stati di provenienza, che secondo l’Onu rappresentano il 65% del totale degli stranieri, sono Nigeria, Egitto, Sudan e infine subsahariani provenienti da Ciad e Ghana. La maggioranza si trovava nel Paese prima della guerra del 2011 per lavorare, ma decine di migliaia sono prigionieri dei lager governati con la violenza dai trafficanti, mentre nei centri di detenzione governativi - le cui condizioni sono state spesso aspramente criticate dall’Onu - sono rinchiuse meno di ventimila persone.

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