domenica 6 settembre 2020
Nella città, piegata dal lockdown e dalla crisi, si fa largo il ricorso alla criminalità per ricevere aiuti L’allarme per l’impennata dell’usura e per il fenomeno delle truffe agli anziani
Napoli, il welfare della camorra

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Procura e forze dell’ordine sono d’accordo, e lo hanno sottolineato recentemente in sede di Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica: a Napoli, nei mesi successivi al lockdown, mentre la pandemia sociale piegava le famiglie, il reato che più è aumentato sono le truffe agli anziani. A lanciare l’allarme per primo è stato il comandante provinciale dei carabinieri, il generale Canio Giuseppe La Gala. «Si tratta di un reato in realtà sempre esistito – spiega il generale –. Ma negli ultimi mesi ne abbiamo riscontrato una crescita esponenziale. Un crimine peraltro particolarmente odioso, in quanto colpisce una fascia di persone estremamente vulnerabile».

E così, mentre la povertà stritola i più fragili e le code in strada per chiedere cibo e aiuti si allungano, finti corrieri, avvocati e carabinieri chiamano l’anziano di turno con la solita scusa del problema capitato al familiare stret- to – un figlio, un nipote –, passando in seguito all’incasso presso la sua abitazione. Questo, grossomodo, lo schema classico della truffa: il truffatore simula un incidente o un fermo ai danni del figlio o del nipote. Questo genera panico nel malcapitato, che inavvertitamente fa il nome del congiunto. Segue la richiesta di soldi per sbloccare la situazione e la consegna del denaro, presso il domicilio della vittima. Sono stati tanti, molti più del solito, gli arresti per questo genere di reati nei mesi della pandemia. «Purtroppo, dopo aver arrestato uno di loro, i truffatori rimasti in libertà cambiano zona» dice il comandante provinciale dei carabinieri.

Ciò ha convinto il generale a lanciare una campagna di informazione, che vede in prima linea anche le parrocchie napoletane: «Un reato, questo, che colpisce il candore degli anziani e che spesso lascia tracce anche sulla loro psiche, spalancando la strada a episodi di depressione ». L’altra faccia – più nascosta – della “pandemia sociale” di Napoli è l’usura. A nessuno sfugge quanto gli strozzini siano attivi in questa fase, in città e in tutta la regione.

Mancano però le denunce, sempre molto rare per questo tipo di reato. I clan e i piccoli usurai puntano ad approfittare delle ristrettezze economiche portate dal Covid-19 alle famiglie e alle imprese. Parroci, fondazioni antiusura e associazioni dei commercianti lo denunciano da mesi. I delinquenti mirano a impadronirsi delle aziende e dei negozi degli imprenditori e dei commercianti in difficoltà, sfruttando le perdite del lockdown e le difficoltà della ripartenza. L’altro fronte su cui si è mossa la camorra è quello degli aiuti. In diversi quartieri napoletani, i camorristi hanno aiutato le famiglie in difficoltà. In alcuni casi, si sono persino appropriati dei pacchi distribuiti dalle parrocchie, distribuendoli poi a loro piacimento, stando a quanto denunciato da alcuni parroci. Passeranno all’incasso più in là.


I camorristi in azione persino nella rete della distribuzione dei pacchi alimentari: se ne appropriano per poi distribuirli a piacimento, in cambio di favori e coperture. Le denunce dei parroci

Non chiederanno soldi, ma di nascondere un latitante o la droga. Senza contare l’effetto, a livello di consenso, che questa strategia porterà nelle aree più povere della città. Da queste parti lo chiamano “welfare di camorra”, che si affianca a quello dello Stato, percepito come insufficiente. Uno studio della Cisl di Napoli ha reso noto che, durante il lockdown, sono state ben 71mila le domande di buoni spesa su tutto il territorio metropolitano. Altro segnale di una povertà parecchio diffusa nel tessuto sociale napoletano. «Contrariamente a quanto si pensa – spiega il direttore della Caritas diocesana di Napoli, don Enzo Cozzolino –, assistiamo più italiani che stranieri. Un dato in aumento nei mesi della pandemia. Abbiamo visto e vediamo facce che non avevamo mai visto prima. Persone che prima riuscivano in qualche modo a sbarcare il lunario e ora devono chiederci il pacco o addirittura recarsi presso una delle nostre venti mense…».

D’altronde, i dati in possesso della Caritas dicono che in questi mesi c’è stato un aumento del 100% delle richieste di aiuto su scala nazionale. «Un dato che va sicuramente maggiorato per quanto riguarda Napoli e il Sud Italia…», precisa don Enzo. Anche la Chiesa di Napoli, come le altre nel resto d’Italia, in questi mesi è stata chiamata a un maggiore sforzo sul fronte dell’assistenza ai poveri. Sono state aperte due case per i senzatetto, l’attività delle mense e di alcune strutture – come “La Tenda” – si è intensificata parecchio rispetto al passato. «Ciò che va assolutamente detto – tiene a sottolineare il direttore della Caritas diocesana di Napoli – è che tanta gente è venuta da noi a chiedere di poter donare ai più poveri, a riprova del grande cuore dei napoletani.

Un dato ben simboleggiato dal panaro ripreso dalle tv, nel quale chi aveva poteva lasciare qualcosa e chi non aveva poteva prendere». A Napoli, come nelle altre città italiane, «non è più solamente il senzatetto o l’immigrato che vive di espedienti l’assistito- tipo della Caritas, ma anche il padre separato, il funzionario, il ragioniere… ». La pandemia non ha fatto altro che confermarlo.

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