domenica 4 aprile 2021
Portare l’Eucaristia tutti i giorni in reparto, pregare, telefonare alle famiglie: in questo modo ho servito»
Don Luca Casarosa, con la croce disegnata sulla tuta, all’ingresso della terapia intensiva dell’ospedale di Pisa

Don Luca Casarosa, con la croce disegnata sulla tuta, all’ingresso della terapia intensiva dell’ospedale di Pisa - .

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Da ragazzino sognava di raggiungere i villaggi delle periferie del mondo: per curare i bambini denu-triti, togliere le armi dalle mani dei ragazzini e i meninos de rua dalla strada. Oggi la missione di don Luca Casarosa è a 50 metri da casa, tra le corsie e i letti dell’ospedale Nuovo Santa Chiara a Pisa. E quando i primi contagiati dal Covid, nel marzo del 2020, sono arrivati anche qui «io come molti altri – confessa il cappellano ospedaliero – ho avuto paura e sono stato tentato di lasciare ai soli medici la presa in carico dei malati di Coronavirus ricoverati nei reparti e nelle terapie intensive a loro dedicati. Poi mi sono chiesto: 'Gesù come si sarebbe comportato al mio posto?'.

Ed è stato allora che mi sono convinto di come la mia missione era proprio qui, in mezzo a loro». Don Luca Casarosa vive da quasi trent’anni nella foresteria dell’ospedale: l’azienda ospedaliera gli ha riservato una camera ed un bagno, niente di più. Ma già alle 8 del mattino è pronto per celebrare l’Eucarestia nella cappella costruita all’interno del Cardiotoracico, alternandosi con il confratello don Sergio Prodi: tutti possono partecipare alla celebrazione in presenza o attraverso il canale tv interno della cittadella ospedaliera. Per i dì di festa, in occasione delle Cresime e anche dei funerali, i cappellani hanno a disposizione una chiesa più grande, dedicata a san Luca, patrono dei medici e dei chirurghi.

C’è infine un’ultima cappella, piccola, intima e bellissima, all’altezza del vecchio ingresso dell’ospedale: sorge nella piazzetta San Ranierino ed è intitolata a san Ranieri, il patrono principale di Pisa. Dopo la funzione – e le lodi recitate insieme agli specializzandi – ecco il sacerdote partire per la sua missione verso i reparti Covid. Al mattino, al tardo pomeriggio, a sera. «Sono entrato in punta di piedi – racconta –. Con il tempo sono stati gli stessi medici, infermieri ed Oss a cercarmi perché gli ammalati hanno bisogno di un conforto spirituale. E pure loro sentono il desiderio di una parola di vita». Don Luca non si nega mai. Entra con muta, guanti e maschera anti-Covid in reparto con olio, vangelo e rosario in mano. Si avvicina a sanitari e agli ammalati. Li unge con il sacro olio degli infermi. Li tiene per mano. Li incoraggia. «Molti si sono aperti raccontandomi la loro storia. Altri hanno chiesto di confessarsi, liberandosi di pesi di cui non riuscivano a liberarsi da tempo. Un giorno un malato mi confidò: Quando sarò al cospetto di Dio, sarebbe per me avvilente se Lui mi dicesse: non hai mai amato nessuno…».

Giorgio Redini, diacono permanente, contagiato dal Covid, è stato a lungo ricoverato all’ospedale pisano. Racconta: «Ho sperimentato la misericordia di Dio in una confessione raccolta al capezzale del mio letto, quando ero in pericolo di vita. L’assoluzione ha avuto il sapore di un abbraccio, mi ha dato pace e mi ha fatto affrontare la crisi che di lì a poco sarebbe sopraggiunta con la forza che solo Dio sa dare ». Dalla Bolla Covid – diretta dal dottor Paolo Malacarne – a Pneumologia: è il percorso verso la guarigione di Ferrino Puccinelli: «Ho trovato in medici, infermieri e Oss professionalità e attenzione». Ma se adesso è fuori pericolo – osserva lui stesso – è anche per il conforto dell’Eucarestia «che ogni giorno, puntale come un orologio svizzero, mi ha portato il cappellano». In casa Contatore il Covid è entrato silenziosamente lo scorso 12 febbraio. Dopo una settimana vissuta senza particolari sintomi, le condizioni di Eugenio, 61 anni e la moglie Paola, 64, si sono aggravate e ad entrambi è stata diagnostica una polmonite bilaterale.

Paola non ce l’ha fatta: si è spenta nei giorni scorsi. Eugenio adesso sta meglio. Racconta: «Ho avuto la grazia di meditare sulla passione di Cristo per ogni spina inflitta sulla mia carne. Ho riguardato la mia vita. Ringrazio don Luca: per me è stato come un angelo di Dio che mi portava la Sua consolazione. Ora so che mi aspetta un percorso di rinascita con i miei figli, accompagnato da Paola, da Maria e da suo figlio Gesù». «Ho riso, ho sofferto, ho pianto. Ho accompagnato con lo sguardo, con la preghiera, con la mano, fino all’ultimo respiro almeno un centinaio di persone, sempre in collegamento con i familiari. E poi ho visto tante persone risorgere da tanto male» racconta don Luca. Oggi gli scrivono per ringraziarlo: lui mette da parte le lettere e le fotografie. Per ognuno c’è spazio nel cuore.

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