lunedì 23 dicembre 2019
La Corte d'Assise di Milano ha ritenuto che il "fatto non sussiste" dopo la sentenza della Corte Costituzionale sul tema del suicidio assistito
Marco Cappato

Marco Cappato - Epa

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Assolto perché «il fatto non sussiste». Come annunciato e previsto, Marco Cappato è uscito indenne dal processo milanese che lo vedeva imputato per la violazione dell’articolo 580 del Codice penale nel suicidio di Fabiano Antoniani (noto come dj Fabo) in un centro specializzato svizzero il 27 febbraio 2017, dove lo stesso leader radicale l’aveva accompagnato. Termina dunque il processo che aveva suscitato il duplice pronunciamento della Corte costituzionale sulle possibili eccezioni alla punibilità di chi aiuta altri a darsi la morte, dapprima con l’ordinanza 207 del 23 ottobre 2018 che dava undici mesi di tempo al Parlamento per depenalizzare a determinate condizioni l’ipotesi di reato e poi – stante la colpevole inerzia delle Camere – con la sentenza 242 depositata il 22 novembre 2019 nella quale si dettano le linee guida per un possibile intervento legislativo (non indispensabile, essendo già vigente sul fine vita la legge 219 sulle Disposizioni anticipate di trattamento).


Il pronunciamento della Consulta esplicitamente escludeva proprio il caso – e solo questo – che aveva originato il suo intervento non potendone applicare le disposizioni a un fatto avvenuto persino prima della legge sul biotestamento. La Corte d’assise di Milano ha tenuto conto dell’intera sentenza della Consulta accogliendo la tesi del procuratore aggiunto Tiziana Siciliano che nella breve udienza prima del verdetto, nella mattinata di lunedì 23 dicembre, aveva chiesto l’assoluzione dell’imputato «in maniera convinta ritenendo che il fatto non sussiste» poiché a suo avviso (ed evidentemente a giudizio del collegio giudicante) «la fattispecie incriminatrice non corrisponde agli elementi fattuali di cui siamo in possesso». Se dunque il reato ipotizzato è aiuto al suicidio, i fatti accertati in aula non corrisponderebbero a quanto previsto dal Codice penale. Una tesi discutibile, che andrà verificata quando saranno depositate le motivazioni. Identica verifica andrà effettuata sulla corrispondenza della sentenza a quanto dettato dalla Corte costituzionale proprio sul processo Cappato. Al punto 7 della sentenza 242 si legge infatti che «occorrerà che le condizioni del richiedente che valgono a rendere lecita la prestazione dell’aiuto – patologia irreversibile, grave sofferenza fisica o psicologica, dipendenza da trattamenti di sostegno vitale e capacità di prendere decisioni libere e consapevoli – abbiano formato oggetto di verifica in ambito medico», dunque la presenza di una certificazione professionale indipendente esaminata dal tribunale. Per i giudici costituzionali, inoltre, la corte milanese doveva accertare «che la volontà dell’interessato sia stata manifestata in modo chiaro e univoco, compatibilmente con quanto è consentito dalle sue condizioni; che il paziente sia stato adeguatamente informato sia in ordine a queste ultime, sia in ordine alle possibili soluzioni alternative, segnatamente con riguardo all’accesso alle cure palliative ed, eventualmente, alla sedazione profonda continua». Una serie complessa e articolata di «requisiti tutti la cui sussistenza dovrà essere verificata dal giudice nel caso concreto».

La pronuncia della sentenza di assoluzione per Marco Cappato del Tribunale di Milano

La pronuncia della sentenza di assoluzione per Marco Cappato del Tribunale di Milano - Fotogramma


Intanto la cronaca fa registrare l’esultanza unanime di pubblico ministero, avvocati difensori e dei protagonisti della vicenda, a cominciare dalla fidanzata di Fabo, Valeria Imbrogno. Per Marco Cappato la soddisfazione per il verdetto è stata invece oscurata dal grave lutto per la morte della mamma, notizia giunta proprio durante l’udienza. Sull’onda dell’assoluzione, dal tribunale di Milano e dalla politica giungono voci convergenti che ora spingono verso l’approvazione di una nuova legge sulle scelte di fine vita che non solo traduca quanto disposto dalla Consulta ma apra la possibilità di praticare il suicidio assistito in molteplici casi. Una pagina ancora tutta da scrivere, e che richiederà da chi ha a cuore la dignità della vita umana e la sua indisponibilità informazione e vigilanza.


Le critiche

«Il fatto c’è stato, tutt’al più non è configurabile come reato». Lo spiega a Vatican News il presidente di Scienza & Vita, Alberto Gambino, per il quale c’è il rischio di aprire all’eutanasia «se si strumentalizza questo caso» andando però «contro quanto detto dalla Corte costituzionale, che si è limitata a questa vicenda». Il fatto che Cappato sia stato assolto semmai dimostra che una legge sull’eutanasia» «non è necessaria» e, anzi, «sarebbe inopportuna». Il dispositivo del verdetto milanese («il fatto non sussiste») dà motivo alla senatrice centrista Paola Binetti di dire che la Corte d’assise «ha ragione: lo ha cancellato la Corte costituzionale come reato, ma niente e nessuno potranno negare che Cappato ha accompagnato dj Fabo a morire in Svizzera in quella che resta una forma di eutanasia. La legge può non dichiararlo colpevole ma non può negare che il fatto sussiste, eccome. E la morte di Fabo ne è la conferma». Per l’associazione Pro Vita & Famiglia, infine, la sentenza è «un caso apripista drammatico. Da adesso in poi sarà più facile risparmiare agevolando la morte della persona malata che pesa sullo Stato e sulla sanità».

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