lunedì 15 ottobre 2018
Caritas e Acnur lanciano il progetto per il ricongiungimento familiare dei profughi. Forti (Caritas): è una via poco nota alle autorità italiane e agli stessi interessati
Minori non accompagnati (Ansa)

Minori non accompagnati (Ansa)

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Aumentare le vie di accesso legali e sicure in Italia dei parenti stretti dei rifugiati. Potenzialmente una alternativa forte ai viaggi della morte che avrebbe l’innegabile merito aggiuntivo di ricomporre famiglie, vite, affetti spezzati da guerre e dittature, guarendo traumi e facilitando la stabilizzazione delle persone nel Belpaese.

A Palermo, al festival Sabir, è stato presentato ieri il progetto ricongiungimenti familiari dei rifugiati voluto da Caritas e Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati. «È una via poco nota – commenta Oliviero Forti, responsabile immigrazione di Caritas italiana – alle autorità italiane e agli stessi interessati. In realtà un rifugiato per legge ha diritto di chiedere il ricongiungimento dei parenti più stretti. La conseguenza di questa mancanza di informazioni è drammatica: quando una persona ottiene la protezione internazionale mette in moto i viaggi della speranza illegali dei congiunti mettendone in pericolo la vita e alimentando le reti dei trafficanti». Il progetto è diviso in due parti. La prima, di natura statistica, è partita a luglio per capire l’entità del fenomeno e coinvolge il Viminale per capire quanti visti di questo tipo vengono già rilasciati e 16 ambasciate in Paesi di origine e Paesi terzi come la Turchia o di transito come ad esempio Sudan, Senegal e Pakistan. «Ci preme – aggiunge Forti – creare maggiore consapevolezza nei vari attori». La seconda fase, una volta capita la potenzialità e l’impatto, è di sensibilizzazione e coinvolgimento delle autorità.

«Si tratta di capire come viene applicato lo strumento legislativo esistente – specifica Andrea Pecoraro, legale del settore Protezione di Acnur – che risale al 2007 e ha recepito una direttiva Ue del 2003. Siamo uno dei Paesi più avanzati in questo campo. Possiamo incrementarne l’applicazione».

Chi sono i familiari? «I figli minorenni e il coniuge – risponde Pecoraro – o il partner di una unione civile, i genitori dei minori non accompagnati o se superiori ai 65 anni e i figli maggiori se disabili o in condizione di fragilità. Servono i documenti che comprovano la parentela o i passaporti, che possono essere sostituiti da documenti che ne attestano la identità rilasciati dall’Acnur». Teoricamente la legge sul ricongiungimento potrebbe essere applicata anche ai familiari detenuti nei lager in Libia, perlomeno nelle galere ufficiali dove l’Acnur ha accesso e ha compilato liste di detenuti.

A patto ovviamente che le condizioni del Paese rendano possibile il prelievo e il trasporto del rifugiato, mentre non costituirebbe un ostacolo la parte burocratica perché l’Onu può sostituire parte dei documenti di identità mancanti. E i costi? Per la parte preponderante – visti e biglietto aereo – sono a carico del rifugiato.

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