mercoledì 17 febbraio 2021
In tre settimane segnalazioni dimezzate. Da dicembre in vigore il regolamento europeo sulle comunicazioni elettroniche che mette fuori legge gli strumenti usati per dare la caccia agli orchi on lline
Agenti al lavoro durante un'operazione anti-pedopornografica

Agenti al lavoro durante un'operazione anti-pedopornografica - Ansa / Polizia di Stato

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Dal 21 dicembre a metà gennaio le segnalazioni in rete di materiale pedopornografico e di episodi di adescamento si sono quasi dimezzate (-46%). Non vuol dire purtroppo che c’è stata una drastica riduzione dei pedofili online. Ma che, più banalmente, le polizie postali non sono più in grado di operare.

Se non si riuscirà ad intervenire in tempi brevi, tra qualche settimana potremo illuderci di aver cancellato il problema, almeno dal punto di vista della diffusione dei dati. Non sapremo più nulla, o quasi, degli orchi in rete perché sarà stata azzerata la possibilità di individuarli.

Davvero un risultato straordinario quello ottenuto dal nuovo Codice europeo per le comunicazioni elettroniche entrato in vigore, appunto, lo scorso 21 dicembre. Insieme all’obiettivo di tutelare in modo rigoroso la privacy, sono stati messi fuorilegge anche gli strumenti informatici che fino a quella data consentivano di monitorare il mondo sommerso degli abusi sessuali on line.

Un arcipelago di perversione e di violenze che, solo nei Paesi Ue, è passato dalle 23mila segnalazioni del 2009 alle 725mila del 2019. Tre milioni le immagini pedopornografiche 'catturate' lo scorso anno grazie a strumenti elettronici come filtri antigrooming e photoDna, che ora però sono stati vietati. Si tratta di uno scenario che poteva essere evitato, se i negoziati tra le istituzioni europee (cosiddetto trilogo) tenutisi lo scorso 17 dicembre si fossero conclusi con un accordo per l’approvazione della proposta della Commissione di introdurre una deroga temporanea alla direttiva eprivacy – a cui fa riferimento il Codice europeo per le comunicazioni elettroniche – fosse stato approvato.

Ma come è possibile che la Ue non si renda conto di questo cortocircuito? Il problema in realtà è ben presente. I due co-presidenti dell’Intergruppo del Parlamento Europeo per la protezione dei diritti dei minori (Hilde Vautmans, liberale belga, e David Lega, svedese del gruppo dei cristiano-democratici) hanno diffuso una lettera sottoscritta da 57 deputati di diverse formazioni politiche, indirizzata a Birgit Sippel, tedesca socialista – relatrice della proposta di regolamento che introduce una deroga temporanea alla direttiva eprivacy – a Ylva Johansson, Commissaria europea per gli affari interni e all’ambasciatore Nuno Brito, in rappresentanza della presidenza portoghese del Consiglio Europeo.

L’invito è perentorio: trovare al più presto un accordo che consenta alle imprese fornitrici di servizi di comunicazione elettronica di ripristinare l’uso degli strumenti tecnologici per l’individuazione del materiale pedo-pornografico, e degli episodi di adescamento dei minori online.

Ma finora tutto tace. Birgit Sippel, e altri deputati come lei, continuano ad essere convinti che gli strumenti elettronici utilizzati per fermare gli orchi del web siano una violazione della privacy perché in grado di leggere i nostri messaggi.

Ma dovrebbe trattarsi di una preoccupazione esagerata. Le tecnologie per individuare foto e video a contenuto pedo-pornografico usano un meccanismo che riconosce le cosiddette 'hashes' (una sorta di impronta digitale). Cioè avviene attraverso un filtraggio automatico uguale a quello che si fa con l’anti-virus e antimalware, che abbiamo in tutti i computer.

Mentre, nel caso dell’adescamento (grooming in inglese) le tecnologie utilizzate riconoscono solo certe parole-chiave e altri indicatori specifici impiegati dai pedofili in rete per attirare le vittime. Potremmo parlare di un filtraggio automatico uguale a quello che accade con l’anti-spam dei nostri computer. Pertanto, questi strumenti informatici non sono in grado di comprendere il contenuto delle conversazioni in rete.

Ora cosa succederà? La Commissione europea ha annunciato l’intenzione di creare un Centro europeo per la prevenzione e la lotta agli abusi sessuali sui minori – anche dopo numerosi richiami da parte del Parlamento europeo proprio su iniziativa dell’Intergruppo sui Diritti dei Minori – e lavorerà a stretto contatto con l’agenzia americana e altre organizzazioni impegnate alla lotta agli abusi sessuali contro i minori in rete.

Ma quanto tempo servirà per far decollare la nuova struttura? E, in ogni caso, anche con il nuovo Centro europeo, in assenza dell’approvazione della deroga temporanea alla direttiva eprivacy, le imprese fornitrici di servizi di comunicazione elettronica saranno comunque costrette a rispettare il Codice per le comunicazioni elettroniche.

Quindi, se non si correrà ai ripari, la lotta contro gli orchi del web rischia di essere condotta con armi impari. E milioni di bambini e di ragazzi sono già diventati un bersaglio troppo facile per le strategie sempre più sofisticate dei pedofili on line.

Proteste alla Ue anche da Unicef e altre Agenzie Onu​

Il silenzio imposto alla ricerca dei pedofili on line dal nuovo Codice europeo per le comunicazioni elettroniche ha suscitato l’indignazione anche dell’Unicef, del Rappresentante speciale del Segretario generale Onu per la violenza contro i minori, del Relatore speciale Onu contro lo sfruttamento sessuale dei minori, dalla Partnership dell’Onu per la lotta a tutte le forme di violenza contro i minori (UN Global Partnership to end violence against children). E poi si sono mosse realtà come Telefono Azzurro, Save the Children, Ecpat International, WeProtect Global Alliance, nonché dalla taskforce europea contro i cyber-crimini (Euctf), che riunisce tutti i capi delle unità speciali contro i cyber-crimini dei Paesi Ue, ed esponenti di Europol. Anche i ministri degli interni di Australia, Canada, Nuova Zelanda, Regno Unito e Usa, in una dichiarazione congiunta indirizzata alla Ue, hanno avvertito degli enormi rischi per i minori in rete.




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