venerdì 18 settembre 2020
Il Procuratore di Reggio Calabria Di Palma: ora la ’ndrangheta arruola i tredicenni per lo spaccio. E i ragazzini «sognano» di diventare boss
Una manifestazione contro la ’ndrangheta a Locri, negli anni scorsi. In prima fila, a reclamare un territorio finalmente libero dai tentacoli delle cosche, ci sono gli studenti

Una manifestazione contro la ’ndrangheta a Locri, negli anni scorsi. In prima fila, a reclamare un territorio finalmente libero dai tentacoli delle cosche, ci sono gli studenti - -

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Droga, risse e bande criminali. L’età media è scesa a dismisura: i 'padroni' delle strade, oggi, sono poco più che adolescenti. Di recente, la Dda di Reggio Calabria ha sgominato una gang di pusher con 'sogni di ’ndrangheta'. Sul coinvolgimento dei minori da parte della malavita, Roberto Di Palma, procuratore della Repubblica, facente funzioni, presso il Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria lancia l’allarme.

Che ruolo hanno i minori nelle famiglie di ’ndrangheta?
È evidente uno stato di arretratezza culturale e morale in cui intere famiglie vivono quotidianamente. In tal senso, l’asticella della moralità si è abbassata notevolmente; un tredicenne – fino a poco tempo fa – si rendeva protagonista di fatti irrisori, sotto il profilo penale. Oggi ci sono vere e proprie organizzazioni 'a busta paga' che si servono dei minori rendendoli schiavi delle sostanze stupefacenti: è un aspetto davvero allarmante.

Una recrudescenza criminale che sembra inarrestabile. Secondo lei, quanto è fuorviante – in questa generazione – il messaggio lanciato da alcune serie tv?
Non dobbiamo demonizzare le serie tv. Il danno non è arrecato in sé: purtroppo spesso queste storie sono viste da ragazzi soli che, senza il filtro dei genitori, scambiano i simboli di disvalore con gli eroi da seguire. Voglio, però, essere onesto: le serie tv non creano le bande criminali.

Chi è che lo fa?
Ci sono diversi studi che mettono in relazione le organizzazioni criminali, anche di stampo mafioso, e i minorenni. Dobbiamo interrogarci, quindi, sul 'perché' la ’ndrangheta, ad esempio, punti la sua attenzione sui minorenni nell’organizzare una rete di spaccio e, contemporaneamente, sul perché tanti giovanissimi siano attratti dal crimine mafioso.


Per il magistrato, «è necessario tornare a parlare della forza educativa della famiglia. Prendersela con le agenzie educative non serve. Dobbiamo ascoltare le richieste vere dei giovani»

I clan non disdegnano di 'interessarsi' ai minori?
Si tratta di manovalanza a basso costo, dei veri e propri 'vuoti a perdere'. Soggetti estranei alle dinamiche familistiche tipiche della ’ndrangheta e che, quindi, possono essere utilizzati e, nel caso di problematiche, sono facilmente abbandonabili o peggio ancora sacrificabili.

Destini segnati. Allora perché i ragazzi vogliono fare i ’ndranghetisti?
Quando la società (famiglia, scuola, oratori) non riesce a dare al minore quello che cerca, cioè il riconoscimento della sua individualità – quindi a non essere trattato come numero – c’è qualcun altro pronto a colmare questi vuoti. Quando un gruppo di persone più grandi fanno sentire importante il minore, quest’ultimo diventa facilmente gestibile. Questi ragazzi non hanno niente di diverso dalle generazioni precedenti semplicemente sono alla ricerca di amore. Come adulti dovremmo domandarci se e come siamo capaci di donarglielo.

Un fallimento delle agenzie educative, quindi?
Bisogna uscire dalla forma ed an- dare alla sostanza. I giovani hanno un desiderio enorme di essere presi in considerazione. E si aspettano che chi si rivolge a loro, lo faccia col cuore in mano e guardandoli negli occhi. Troppo spesso c’è un aspetto moralistico: può sembrare paradossale, ma i ragazzi non hanno bisogno di trovarsi davanti chi si autoproclama come 'l’onesto'. Procedendo in questo modo si continuerà a creare dei vuoti, delle barriere. Bisogna mostrarsi per quello che si è, per cui con tutte le debolezze e gli errori, per trasmettere l’esperienza come forma di condivisione. Però, attenzione: prendersela con le agenzie educative è fin troppo semplice: mi auguro che nel dibattito pubblico si torni a parlare della forza educativa della famiglia.

Roberto Di Palma

Roberto Di Palma - -

Si spieghi meglio.
La famiglia non può e non deve delegare il proprio ruolo. Torniamo al significato delle parole: 'educere', tirare fuori il meglio dai ragazzi, questo è il compito di un genitore. Nella formazione di un minore, ogni pedina ha il suo ruolo: se la famiglia non è presente, nessuno potrà supplirne l’assenza. Le voglio fare un esempio: camminando, in quasi tutte le città, alle quattro del mattino, lei trova spessissimo dei minorenni a bere alcolici o a bivaccare. Le sembra normale?

Tornando alle famiglie di ’ndrangheta. Si può sostenere e ampliare il protocollo 'Liberi di Scegliere'?
L’auspicio è che questo protocollo nel tempo trovi una maggiore estensione: 'Liberi di Scegliere' nasce dall’idea di liberare i giovani dalle mafie, dalla cultura di prevaricazione. Ricordo bene, quando un mafioso in udienza mi disse: «Noi in famiglia non abbiamo mai dovuto lavorare». Bene, liberare il territorio vuol dire ampliare il principio di dignità.


© RIPRODUZIONE RISERVATA «È manovalanza a basso costo, veri e propri 'vuoti a perdere'. Soggetti estranei alle dinamiche tipiche e che quindi possono essere utilizzati e, nel caso di problemi, sacrificati» Una manifestazione contro la ’ndrangheta a Locri, negli anni scorsi. In prima fila, a reclamare un territorio finalmente libero dai tentacoli delle cosche, ci sono gli studenti Roberto Di Palma

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