giovedì 2 aprile 2020
Bloccati gli accessi al crematorio di Lambrate, oltre due settimane di attesa per poter seppellire i propri cari, salme parcheggiate in ospedali e case di riposo, famiglie annichilite
L'ospedale Sacco di Milano

L'ospedale Sacco di Milano - Ansa

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I cinque forni dell’impianto crematorio del cimitero di Lambrate, periferia nordorientale di Milano, in queste settimane sono rimasti accesi giorno e notte ma non sono bastati a far fronte al numero dei morti. A Milano nel mese di marzo i decessi dei sono stati 2.155 contro 1.224 nel 2019 e 1.206 nel 2018. Nell’anno del coronavirus, in un mese si è registrato quindi il 73% in più dei morti del normale. Poco meno del doppio. In questa città le cremazioni sono circa circa il l’80%-90% dei casi. Nella speranza di ridurre i tempi di attesa, mediamente due settimane, il Comune ha cercato di correre ai ripari vietando la cremazione ai non residenti, ma neanche questa misura è servita: le richieste si sono mantenute costantemente il doppio della capacità dell’impianto e le camere mortuarie degli ospedali milanesi si sono rapidamente riempite, saturandosi, tantoché all’ospedale Niguarda, per esempio, le salme sono state collocate all’interno della cappella dell’ospedale. I tempi di attesa si sono dilatati fino a raggiungere la soglia delle tre settimane, oltre la quale si profila l’emergenza sanitaria.

Di qui la decisione di sospendere le cremazioni fino a fine aprile. Una scelta obbligata, che però apre anche altri problemi. «Come facciamo a andare dai congiunti, che hanno espresso la loro volontà, dicendo loro: no, questo da oggi non lo puoi fare? Per noi è una responsabilità troppo grande», spiega Stefano Turati, titolare di un’impresa di onoranze funebri milanese. L’alternativa all’inumazione è la ricerca di un altro impianto. Morire nei giorni della pandemia è diventato più frequente, ma questo non significa che sia più semplice, al contrario.

«A quel piunto parte la ricerca: Trecate, che è già saturo per gli arrivi da Bergamo, nonostante abbiano aggiunto due capannoni, Mantova, Albosaggia, in provincia di Sondrio Domodossola, Brà… e così finché non si trova un posto» spiega Riccardo Ganzleri, titolare di un'altra impresa del settore.

«Ci chiamano nipoti che stanno impazzendo per portare via la nonna e darle una sepoltura, congiunti bloccati in un’altra regione per il Covid, un altro che ha comprato il colombario ma non può fare la cremazione, c’è chi non sa come fare per recuperare gli effetti personali. Una cosa che se uno non la vede non ci crede» racconta Nicola Gammone, titolare di un’altra impresa di onoranze funebri

Un decesso ogni dieci-venti avviene in casa, a Milano sono comunque numeri nell’ordine del centinaio. In questi casi ovviamente non è neanche pensabile un’attesa di due, tre settimane e quindi si deve trovare per forza una corsia preferenziale, ma si parla comunque di giorni. Il grosso problema qui, a differenza che in ospedale, è che i tamponi non vengono fatti.

C’è quindi la questione dei dispositivi di sicurezza per gli operatori: mascherine e tute non vengono fornite alle imprese di onoranze funebri. Anzi avviene semmai il contrario: è più probabile che le forniture vengano requisite per dare la priorità agli ospedali. Quindi ci si deve arrangiare rivolgendosi agli ultimi anelli della filiera, le farmacie, con ricarichi finali moltiplicati per dieci. «Ormai passo le mie giornate per farmacie, alla ricerca delle mascherine. Ne ho ordinato due forniture, entrambe requisite. Ora stanno finendo, dopodiché dovrò dire ai miei dipendenti: signori, quello che potevamo l’abbiamo fatto, ora noi ci tiriamo indietro, mandate l’esercito al posto nostro».

Anche a Milano la situazione nelle case di riposo è emergenziale. « Nel corridoio di una casa di riposo c’erano cinque persone decedute, per cui si prospettavano tempi di attesa di una settimana – racconta ancora Stefano Turati –. In un’altra due, stanno tutte scoppiando. Nel nostro lavoro ne abbiamo viste tante, ma una situazione come questa è senza precedenti».

Tra i tanto problemi c’è anche quello di riuscire stare vicino ai familiari per esser loro di conforto. «Quando trovo un avviso in bacheca, o mi chiamano le onoranze funebri, chiamo la famiglia, li sento, poi il giorno dopo celebro la messa, ora solo con i celebranti, senza fedeli. Molti preferiscono aspettare e rimandare la cerimonia», dice don Angelo Cavenago, della parrocchia di San Martino in Niguarda, che ha registrato un raddoppio dei morti, questo mese: 25 contro una media di 12. Don Natale Castelli della parrocchia del Santissimo Redentore si è accordato con le imprese di onoranze funebri per fare una breve sosta sul sagrato della chiesa durante l’ultimo viaggio, mentre per l’assistenza ai malati si affida alla rete di volontari e ai contatti telefonici. Don Paolo Alliata, vicario parrocchiale di Santa Maria Incoronata ha ricevuto le chiamate di diversi fedeli che gli chiedevano di essere presente al momento della sepoltura.



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