sabato 1 febbraio 2020
La richiesta di aiuto ricevuta da Alarm Phone, ma La Valletta si è rifiutata di in. Solo dopo molto si è decisa. L’imbarcazione partita dalla Libia è nella zona di mare maltese e imbarca acqua
Malta non risponde alle chiamate di soccorso; Open Arms a Pozzallo
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Dopo il rifiuto di Malta di rispondere alle richieste di soccorso di Open Arms che, dopo 5 interventi di salvataggio in 72 ore, aveva a bordo 363 persone in attesa di porto sicuro, è arrivata l'autorizzazione dall'Italia ad approdare a Pozzallo, nel Ragusano. Soltanto domenica la nave Open Arms è riuscita ad attraccare scortata dalle motovedette italiane della Guardia di Finanza e della Guardia costiera.

Un'altra richiesta di soccorso era stata diffusa sabato in giornate dal call center di attivisti di Alarm Phone per una barca con 47 persone che si trovava nella zona Sar (area di ricerca e soccorso) maltese. Stando alle informazioni raccolte da Alarm Phone, che era in contatto con alcune persone a bordo, si tratta di una barca che aveva lasciato Zuara, in Libia, in mare da due notti e con problemi al motore: «I fuggitivi sono molto preoccupati. Stanno imbarcando acqua, sono alla deriva senza giubbotti di salvataggio e mezzi di soccorso a bordo. Le persone devono essere soccorse e portate in Europa. Malta, non lasciateli annegare!», scrivevano gli attivisti di WatchMed in un tweet.

In un primo tempo le autorità de La Valletta si sono persino rifiutate di riferire se avevano lanciato un’operazione di salvataggio: «Perché nessuno li sta cercando?», chiedeva Alarm Phone.

Nel pomeriggio l’imbarcazione è stata effettivamente avvistata dagli aerei di Moonbird (emanazione della ong Sea Watch3 e finanziati dalla Chiesa evangelica tedesca) in zona Sar maltese e ad appena 63 miglia da Lampedusa; solo allora La Valletta ha promesso di inviare i soccorsi.

Malta è sotto accusa anche per le centinaia di persone raccolte dalla nave Open Arms della Ong spagnola Proactiva, che nel tardo pomeriggio sabato si trovava a una decina di miglia dalle acque territoriali italiane e a 60 miglia da Pozzallo (dove ha fatto scendere un membro dell’equipaggio). Dopo aver ricevuto tre dinieghi di fornire un porto sicuro, il patron della ong Oscar Camps ha accusato: «Malta nega formalmente e ripetutamente evacuazioni mediche e porto sicuro a Open Arms con 363 naufraghi a bordo, anche se il salvataggio è stato effettuato nella sua zona Sar. Non hanno rispettato accordi internazionali». Nel frattempo la situazione a bordo si complica: i viveri sono sufficienti per due giorni al massimo; tarda anche una eventuale risposta dall’Italia.

Nave Open Arms era appena tornata in zona operazioni dopo una sosta tecnica per sistemare un motore. Il primo salvataggio di 56 persone lo ha compiuto in acque internazionali il 27 gennaio. Il giorno successivo ha recuperato altri 102 migranti a bordo di un gommone sovraffollato e dopo appena qualche ora, a circa 30 miglia dall’ultimo intervento, ha messo in salvo altre 79 persone. Quindi il 29 gennaio ha soccorso 45 persone in difficoltà su un battello in vetroresina. Infine alle 22.23 del 30 gennaio il quinto intervento: dopo 10 ore di ricerche la Open Arms ha raggiunto un’imbarcazione con 81 persone.

Tra i migranti raccolti ci sono anche profughi di guerra e reduci da torture. Come Mohamed, 17 anni, somalo, che è fuggito dalla patria perché i suoi genitori sono stati assassinati dai jihaidisti di Al Shabab e che reca sul suo corpo i tagli inferti dal trafficante di uomini che, qualche giorno prima della partenza, lo ha torturato con un coltello incandescente per tentare di estorcergli altri soldi prima di farlo partire. Sulla nave spagnola ci sono dunque persone che hanno sicuramente le carte in regola per chiedere lo status di rifugiato. Ieri in serata la Commissione europea ha ricevuto la richiesta di coordinare la ripartizione dei migranti raccolti dalla Open Arms e ha informato di essersi messa in contatto con vari Stati membri per richiedere l’accoglienza.

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