martedì 27 novembre 2018
La testimonianza di un 16enne. E il peschereccio spagnolo, che ha salvato 12 persone abbandonate dalla Guardia costiera di Tripoli, lancia l'allarme: siamo senza carburante, indicateci un porto sicuro
Medici al lavoro (Ansa)

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Siamo quasi senza gasolio e la tensione sulla mia nave è altissima, ma rifarei quello che ho fatto, perché siamo tutti fratelli”. È la coscienza del capitano del peschereccio spagnolo Nuestra Madre Loreto, Pascual Duran, che racconta in prima persona tutta la drammaticità della situazione che sta vivendo in mare aperto, assieme al suo equipaggio.

Sono passati 5 giorni da quando il capitano ha disposto il soccorso dei migranti e ora lancia un vero e proprio allarme a livello internazionale: “Il nostro carburante è quasi finito - dice con voce concitata dalla Nuestra Madre Loreto -: nei nostri piani il 3 dicembre avremmo dovuto rientrare a Lampedusa per il rifornimento del carburante e non ce ne rimane molto”.

Dunque, serbatoio quasi vuoto e in vista di un generale peggioramento meteo nel Mediterraneo. Le vite di queste 25 persone (tra equipaggio e naufraghi) sul peschereccio iniziano a essere in pericolo, se non si sblocca nelle prossime l’impasse internazionale per l’assegnazione di un porto sicuro.

“Dopo ogni manovra e dopo ogni cambiamento di rotta del peschereccio - ha raccontato ancora il capitano Duran - rischiamo che scoppi una rivolta a bordo, perché le persone che abbiamo salvato in mare hanno il terrore che di essere riconsegnati nelle mani dei libici”.

Va ricordato che lo scorso 22 novembre quello di Nuestra Madre Loreto è stato il primo Sos ricevuto dalla missione congiunta in mare delle navi delle Ong, la spagnola Open Arms e la tedesca Sea Watch, oltre alla Mare Jonio di Operazione Mediterranea.

Il peschereccio si trovava a circa 78miglia dalle coste libiche, dove ha prestato soccorso a 12 persone abbandonate in mare dalla motovedetta della Guardia costiera libica che aveva intercettato un gommone con a bordo 36 persone.

“Mi sono buttato io in mare - ha raccontato uno dei profughi soccorsi a Lorenzo D’Agostino, giornalista freelance a bordo della Open Arms -, piuttosto che tornare in Libia a subire quello che subito preferisco morire”, aggiunge. E ancora: “Non ho paura della morte, ma ho paura dei libici”.

I libici dopo essere intervenuti avevano bucato il gommone e avevano abbandonato in mare queste 12 persone che hanno rischiato di annegare se lì vicino non ci fosse stato il peschereccio spagnolo pronto a intervenire. E ora rischiano, di nuovo di annegare, e con loro l’equipaggio che tanto si è prodigato per soccorrerli, a causa dell’indecisione e dell’irresponsabilità dell’Europa.

La testimonianza di un sopravvissuto: quattro anni orribili in Libia

"Ho 16 anni e da quando ne avevo 12 ho vissuto in Libia, per lavorare ma la situazione è molto pericolosa e se non hai soldi, vieni malmenato. Ho passato più di un anno in prigione e sempre in Libia ho perso anche mia madre". Il ragazzo è tra i profughi salvati dal peschereccio Nuestra Madre Loreto lo scorso 22 novembre, assieme a lui altri 11 migranti.
Il ragazzo che è probabilmente di nazionalità somala si era buttato a mare dopo che una motovedetta della Guardia Costiera libica aveva intercettato in acque libiche il gommone con a bordo 36 persone. I libici dopo essere intervenuti avevano bucato il gommone e avevano abbandonato in mare queste 12 persone che hanno rischiato di annegare se lì vicino non ci fosse stato il peschereccio spagnolo pronto a intervenire.


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