martedì 13 marzo 2018
Pioggia di veti dai partiti. Di Maio: no al governo di tutti. E litiga con Padoan. Salvini: mai con il Pd. Delrio apre a un esecutivo di scopo, poi la retromarcia. Presidenze delle Camere a M5s-Lega?
Il capo dello Stato Sergio Mattarella

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La giornata dei veti

Gli appelli alla responsabilità di Sergio Mattarella, per il momento, cadono tutti nel vuoto. Perché a quasi dieci giorni dal voto dai vertici dei partiti piovono solo veti incrociati. Ieri è toccato al Pd, con la propria Direzione, sancire la linea del "no" a qualsiasi ipotesi di sostegno a governi di centrodestra o M5s. Oggi invece sono stati i due vincitori del 4 marzo, Di Maio e Salvini, a mettere i propri paletti.

Salvini saluta l'Europarlamento e chiude al Pd: mai con loro.

Il segretario del Carroccio Salvini ha animato una complicata conferenza stampa con cui ha salutato l'Europarlamento di Strasburgo. "Berlino e Bruxelles si illudono se pensano di farci fuori. Se serve alla nostra gente, ignoreremo il tetto del 3 per cento di deficit. L'unico premier del centrodestra sono io. Un esecutivo con M5s? Siamo distanti, chi vivrà vedrà. Di certo mai faremo un governo con il Pd, con Renzi e Boschi, con chi ha mal governato in questi anni".

È una risposta a Berlusconi e a Forza Italia che invece spingono per portare a Palazzo Chigi un esponente moderato di centrodestra che possa convincere anche il Partito democratico.

La conferenza stampa di Salvini è accompagnata da battibecchi con i giornalisti italiani di stanza a Strasburgo, che si lamentano anche per la "claque" che applaude ad ogni affermazione del leader leghista.

Di Maio: no a un governo di tutti, non abbiamo paura di tornare al voto. E litiga con Padoan

Meno teso, ma altrettanto netto nei contenuti, è l'incontro con i giornalisti della stampa estera convocata a Roma dal leader di M5s Luigi Di Maio: "Diciamo no a un esecutivo istituzionale o di tutti, non abbiamo paura di tornare al voto. Gli italiani hanno votato per un candidato-premier e una squadra di governo, non ne valutiamo altre. Noi non abbiamo niente a che vedere con i partiti estremisti del resto d'Europa, le nostre proposte sono per la stabilità del Paese. Tutti sono per superare il 3 per cento, vediamo insieme come. Ci appelliamo alla responsabilità di tutti, mettiamoci a lavorare". Poi il leader M5s polemizza duramente con il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, che da Bruxelles aveva riferito di come i suoi colleghi Ue considerino l'Italia "un elemento di incertezza". "Irresponsabile, avvelena i pozzi", replica Di Maio. Il Pd con il reggente Maurizio Martina difende il ministro: "Questa è la responsabilità di Di Maio? E' una farsa, la smetta di fare propaganda sulla pelle del Paese".

Un discorso a due facce, quello di Di Maio: rassicurante verso le opinioni pubbliche europee e duro verso il Pd, con la minaccia esplicita di favorire un veloce ritorno alle urne che gli stessi dem temono.

Le parole di Di Maio sembrano anche voler "catturare" gli elettori di centrosinistra con quei richiami a "lavorare per il Paese" che sembrano voler mettere da parte le logiche di partito.

Insomma, ognuno gioca le proprie carte. Tra le forze entrate in Parlamento, in sostanza, solo Forza Italia sembra aperta a più formule di governo. Nel Pd, vale quanto detto ieri dal reggente Maurizio Martina: opposizione sia al centrodestra sia a M5s e invito ai due "vincitori" a mettersi d'accordo tra loro per una soluzione.

Delrio: «Se chiama il Colle? Valuteremo». Poi frena: «Siamo all'opposizione»

Un caso però si è aperto oggi con le parole di uno dei papabili al ruolo di segretario dem, Graziano Delrio: "Se chiama il Colle per un governo? Valuteremo". Si riferisce, l'attuale ministro delle Infrastrutture, a una ipotesi di "governo di tutti" o "governo di scopo" per fare la legge elettorale e la manovra, la stessa ipotesi seccamente respinta al mittente da Di Maio. La mezza apertura di Delrio causa un piccolo terremoto al punto che lo stesso ministro è costretto a rettificare: "Sono stato equivocato, la linea è la stessa, noi siamo all'opposizione".

Presidenze delle Camere, l'ipotesi della "spartizione" Lega-M5s

Questa situazione di stallo ha un effetto concreto sulla prima partita della nuova legislatura, l'elezione dei presidenti di Senato e Camera. Avanza sempre più l'ipotesi di un accordo tra Lega e M5s per dividersi i due scranni.

È un fatto che però allontana e non avvicina accordi per un futuro governo, perché Carroccio e pentastellati non hanno alcuna intenzione di formare un esecutivo insieme. Piuttosto, si tratterebbe di una "intesa tra vincitori" quasi per porre un freno a futuri "accordi di Palazzo" che li escludano o marginalizzino.

Di Maio nei fatti conferma che con la Lega si può ragionare solo di Camera e Senato quando afferma che questo tema "non ha nulla a che fare con il governo". E anche Salvini dà una conferma di intese possibili con M5s su seconda e terza carica dello Stato quando dice che "chi ha perso, e mi riferisco al Pd, non può rivendicare nulla". Nei fatti, se ci fosse una "spartizione" tra Carroccio e pentastellati, si frantumerebbe anche la coalizione di centrodestra perché Fi non accetterebbe di essere tagliata fuori. Non è detto che Salvini arrivi sino a questo punto estremo. Ma per ora lo minaccia.

Governo, tutte le ipotesi sono ora al palo. Lo spettro del voto anticipato

Le varie prese di posizione sbarrano la strada a tutte le ipotesi di governo sinora avanzate:

- un governo di centrodestra guidato da Salvini non avrebbe l'indispensabile appoggio del Pd; e trovare diverse decine di "responsabili" in Parlamento non è né facile né gradito a Forza Italia; inoltre, il capo dello Stato, prima di mandare l'incaricato premier dinanzi alle Aule, vuole la sicurezza che i numeri ci siano;

- un esecutivo sempre a trazione centrodestra, ma con un nome moderato (Maroni, Romani, Tajani...) vedrebbe a questo punto la Lega di Salvini autoescludersi, andare all'opposizione e gridare all'"inciucio" insieme a M5s; ciò renderebbe vano anche un difficile ed eventuale appoggio esterno dei dem;

- un governo M5s-Pd è stato escluso dalla Direzione dem e i sondaggi tra gli elettori democratici danno ragione alla linea scelta dai vertici;

- a un esecutivo M5s-Lega dicono "no" sia Di Maio sia Salvini, che vogliono parlarsi solo sulle presidenze delle Camere; la Lega inoltre spaccherebbe la coalizione e, numericamente, diventerebbe partner di minoranza;

- considerando pura fantapolitica un accordo M5s-Fi, resterebbe l'ipotesi di un governo di scopo, appoggiato da tutti o almeno da due poli su tre, per fare la legge elettorale e scongiurare con la prossima manovra lo scatto degli aumenti Iva. A ieri sembrava uno scenario sul campo, ma le chiusure contemporanee di Salvini e Di Maio, e la retromarcia di Delrio, dimostrano che anche questo è un terreno minato.

Un labirinto che al momento ha solo vicoli ciechi e che quindi sembra poter avvicinare un veloce ritorno alle urne. Tutto può cambiare, però, con lo sbarco dei parlamentari a Montecitorio e Palazzo Madama, previsto in massa la settimana prossima (le prime sedute sono il 23 marzo). L'arma fumante del voto anticipato infatti deve sempre passare dalla volontà degli eletti, che non sempre adottano alla lettere gli indirizzi dei rispettivi leader.

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