giovedì 6 febbraio 2020
A Muccia ha rivisto il ristorante che ha curato e gestito. È tornata ai fornelli con i ragazzi dell’associazione 'IoNonCrollo'. «Insieme per creare comunità e andare oltre la solitudine»
Maria, il ritorno in cucina della cuoca del terremoto
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Ogni giorno era una festa, con un pasto profumato per ogni avventore. L’albergo e ristorante 'Del Cacciatore' da 90 anni era famoso in tutta la zona e oltre. Poi le scossa dell’ottobre 2016, quelle che hanno devastato il cratere maceratese, e da quattro anni il locale se ne sta sbarrato con le porte a vetri opache di polvere, in Piazza della Vittoria, nel cuore di Muccia, paese dalle forme gentili oggi ingabbiato dal silenzio della zona rossa. «Non ci sono più entrata da lu terremotu ».

A parlare è Maria Guerrini, 74 anni, temperamento loquace e allegro di chi è abituata a vivere fra la gente, lei che da quando aveva 20 anni è stata cuoca e poi gestrice Del Cacciatore. «Vivevo nel mio albergo, col personale. Quando mesi dopo sono tornata a Muccia, a vederlo così mi è venuta una fitta di dolore, mi hanno dovuta ricoverare al reparto di cardiologia». Maria arriva ogni giorno da Chiaravalle, in provincia di Ancona, dove è sfollata.

Fa tre ore di strada per trascorrere un po’ di tempo con la sorella che vive ancora a Muccia nella Sae (Soluzione abitativa emergenziale) di 40 metri, guardano la tv insieme. Oggi però è una giornata speciale, in cucina c’è una rappresentanza dell’associazione di Camerino, 'IoNonCrollo', formata da giovani del luogo e volontari civili europei, francesi e spagnoli, che prestano servizio nel cratere. Il gruppetto è arrivato per il progetto 'Sae che ricettario' che prevede incontri di cucina, l’appuntamento è proprio con Maria.

«È un modo per creare comunità fra gli sfollati, fare festa nelle casette, oltre che per preservare il nostro patrimonio gastronomico. Qui la solitudine è il male invisibile peggiore» spiega Marco Paniccià, dell’associazione impegnata nella ricostruzione sociale del post sisma. E chi, meglio della ex cuoca 'Del Cacciatore' può farsi testimone dei manicaretti marchigiani, dopo cinquant’anni tra i fornelli?

«Sono stata anche ospite alla trasmissione 'La prova del cuoco', maestra di cucina» racconta orgogliosa indicando una foto che la immortala negli studi. E quindi vai con la pizza di granoturco, le tagliatelle di farro e il dolce frustingo. Specialità dei Sibillini, un’area martoriata dove tutt’oggi sono 4.265 gli sfollati che vivono nelle Sae costruite attorno i borghi distrutti, e 591 ancora gli ospiti delle strutture ricettive (ma entro il 17 febbraio scatta il trasferimento col contributo Cas), 394 quelli nei container collettivi. «Qui c’è tanta gente che ha voglia di rialzarsi, che si dà da fare – sottolinea con decisione Maria, mentre sfaccenda ai tegami –. Abbiamo ripreso ad organizzare tombolate, cene. In tanti si offrono come volontari ».

Intorno, mostra i quadri appesi che una volta arredavano le sale 'Del Cacciatore'. «Gli oggetti preziosi ce li siamo portati via, ma nell’albergo è ancora tutto lì, mobili, coperte, piatti. Se ci penso non dormo». Le si affollano la mente anche i ricordi più belli del presisma. «Penso a quando i miei nipotini venivano da Roma. Cucinavo per loro torte e dolci, che grande nostalgia. Col terremoto mi sono ritrovata fuori dal mio albergo, in una Muccia trasfigurata, con le persone chiuse nelle casette, disorientate. Ma la gente è forte, attaccata a queste montagne e c’è desiderio di ridare vita a tutto».

Il paesaggio mutato, la voglia di ricominciare, la malinconia, l’ottimismo. Sono parole che trovano eco anche nell’analisi degli psicologi di Emergency, presenti sul territorio col Progetto Sisma, anche nel container ambulatoriale di Muccia. Nel 2019 le visite infermieristiche e psicologiche prestate dalla Ong sono state 2019, il 41 per cento per over 60. Spiega la coordinatrice, Giovanna Bianco: «La popolazione è cosciente e attiva ma c’è un generalizzato 'lutto della progettazione'.

In mancanza di ricostruzione esteriore, degli edifici, per le persone dare slancio alla ricostruzione interiore diventa difficilissimo. Gli anziani soffrono perché non hanno più una casa da lasciare ai figli. L’attaccamento al territorio è profondo, ma per molti andarsene è l’unica via per ricominciare. In un distacco che apre comunque ferite».

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