sabato 29 dicembre 2018
Tempi compressi: domani il voto. Sui banchi del governo né Conte né i vicepremier. Dem infuriati, volano insulti e i fascicoli degli emendamenti
Il deputato del Pd Emanuele Fiano (a destra) protesta durante la seduta di ieri alla Camera, sventolando il fascicolo degli emendamenti non esaminati (Ansa)

Il deputato del Pd Emanuele Fiano (a destra) protesta durante la seduta di ieri alla Camera, sventolando il fascicolo degli emendamenti non esaminati (Ansa)

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Nel tour de force per scongiurare l’esercizio provvisorio e approvare la manovra entro domani, a finire sul "banco degli imputati" delle opposizioni è il presidente della Camera Roberto Fico. A lui Pd, Fi, Fdi e Leu si appellano per affermare la centralità del Parlamento, ma i tempi non consentono margini e il numero uno di Montecitorio finisce col dare via libera a un calendario strettissimo: oggi il voto di fiducia alla legge di bilancio e domani il varo. Una decisione presa in una giornata surreale, scandita da risse, insulti, minacce, lancio di fascicoli e qualche scusa.

«Io sono convinto che il presidente della Camera e anche quello del Senato non auspicano mai una discussione di questo tipo. Per me non è un modo giusto di procedere, non c’è dubbio», prova a spiegare Fico di fronte alla procedura inedita di varare la legge di bilancio senza discussione, contro la quale il Pd fa anche ricorso alla Consulta, mentre Leu chiama in causa il capo dello Stato. Ma per le opposizioni, cade l’ultimo possibile baluardo e lo scontro diventa una conseguenza inevitabile.La guerriglia parlamentare va in scena con momenti di forte tensione nell’arco dell’intera giornata. Nei banchi del governo passano solo viceministri e sottosegretari. Non si materializzano né il premier né tanto meno Salvini e Di Maio, ma solo a fine serata fa la sua comparsa il ministro Tria – aria stanca e volto provato – , in un’Aula dove ormai regna il caos.

E sono appena le 10 del mattino quando si apre il fuoco. «Gli eventi che hanno caratterizzato la non discussione di nessun emendamento della manovra non sono normali. Non è mai successo che si arrivasse a una terza lettura della legge di bilancio senza che si esaminassero i relativi emendamenti», tuona Emanuele Fiano del Pd. «Il presidente della Camera non può far finta di nulla – incalza – , dovrebbe intervenire perché questo testo arriva alla Camera avendo calpestato la funzione del Parlamento». I dem ricordano a Fico il suo impegno per rendere centrali le Camere preso a inizio mandato.

Forza Italia e Fdi si accodano e lamentano anche i tempi contingentati dell’esame del provvedimento in aula. Il capogruppo dem Delrio chiede a Fico di votare il ritorno del testo in commissione per un esame corretto. Alcuni banchi dei 5 stelle e della Lega sono vuoti e pare una buona occasione per "contare" le presenze. Ma il presidente della Camera decide di sospendere la seduta per dieci minuti rimettendo tutto nelle mani della conferenza dei capigruppo.

Scoppia la protesta. Fiano e il collega dem Borghi puntano il banco della presidenza, agitando un fascicolo di emendamenti, che finisce addosso al viceministro dell’Economia Massimo Garavaglia. La tensione è alle stelle e i commessi corrono ai ripari. Tra i banchi vola di tutto. Fico convoca i capigruppo, ma le opposizioni lasciano subito la riunione. E una volta in aula, il presidente della Camera cerca di ricomporre l’ordine. Fiano chiede scusa a Garavaglia, mentre Fico spiega che la manovra «non può arrivare al presidente della Repubblica il primo gennaio». Maria Elena Boschi non cede e twitta: «Fico ha scelto di rinunciare a fare il presidente della Camera e vestire i panni del capogruppo M5s. Ha fatto ostruzionismo per evitare che si votasse alla Camera mandando sotto la maggioranza, non pervenuta in aula».

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L’aria resta pesante. La maggioranza comprime i tempi come può e salta passaggi procedurali. E ogni occasione è buona per far esplodere le opposizioni. Questa volta tocca a Borghi (sempre Pd) e dallo scranno alto, Fico ammonisce: «Lei non finisce l’aula oggi». L’esponente del Pd sbotta: «Cosa fa mi minaccia? Lei non mi minaccia!». Più tardi il presidente si scusa per le parole mal formulate.

Passano le ore e la rissa trova nuovi protagonisti: il Pd Marattin e il sottosegretario leghista Molteni si rinfacciano gli insulti che arrivano dai banchi dei rispettivi gruppi. Fico si svocia: «Evitiamo di dare questo spettacolo». Ma le opposizioni non cedono, anche se domani calerà il sipario sulla prima manovra giallo-verde.

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