martedì 15 dicembre 2020
Secondo il tribunale non vi sarebbe prova certa che il collaboratore dell'ex premier Muscat avesse voluto intimidire l'inviato di Avvenire. Protesta degli organismi internazionali della stampa.
Neville Gafà, assolto nel processo per le minacce a Nello Scavo

Neville Gafà, assolto nel processo per le minacce a Nello Scavo - Archivio Avvenire

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Il Tribunale di La Valletta ha assolto per insufficienza di prove Neville Gafà, esponente di primo piano dello staff dell’ex premier maltese Joseph Muscat, al termine del processo per le minacce proferite nei confronti del giornalista di Avvenire Nello Scavo.

«Se non la smetti con le tue losche attività, ti fermeremo noi!»: questo il tweet del 27 giugno scorso con cui Gafà, già noto per aver diffuso insinuazioni e foto private di Daphne Caruana Galizia alla vigilia del suo omicidio, si è rivolto a Nello Scavo, contestandogli le sue inchieste giornalistiche sul traffico di esseri umani.

Secondo il Tribunale di Malta, data l’ambiguità dell’affermazione dell’imputato, non vi sarebbe la prova certa che Gafà abbia voluto scientemente intimidire il giornalista italiano.

Nel processo, avviato su iniziativa diretta delle autorità maltesi, si sono costituiti parte civile, al fianco di Nello Scavo, la redazione di Avvenire e la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, rappresentati in giudizio dagli avvocati Kris Busietta e Giulio Vasaturo.

Il giudice di La Valletta ha precisato, nella sentenza, che la libertà e l’indipendenza della stampa costituiscono un baluardo della democrazia e che il giornalismo di inchiesta ha meritoriamente consentito, anche nella specifica realtà di Malta, l’emersione di gravi vicende di corruzione, discriminazione ed abuso di potere.

«Prendiamo atto di questa pronuncia», ha commentato Nello Scavo. «Questo processo mi ha consentito di conoscere ancor più da vicino la realtà maltese e il clima di grave tensione e continua delegittimazione, in cui i giornalisti dell’isola sono costretti a lavorare. Il mio impegno a supporto dei colleghi maltesi che hanno coraggiosamente raccolto l’eredità di Daphne Caruana Galizia e che si battono per preservarne la memoria - ha sottolineato l'inviato di Avvenire - continuerà, senza sosta, anche in futuro».

La polizia aveva aperto l’inchiesta nell’estate scorsa, dopo che aveva giudicato come minacciose le frasi di Gafà. Nel corso delle udienze hanno testimoniato diversi agenti, mostrando le acquisizioni tecniche avvenute anche con l’apporto del nucleo cybercrime. Gafà, invece, si è avvalso della facoltà di non rispondere in aula.
Il verdetto non è stato accolto favorevolmente dalle associazioni e dai giornalisti, che al contrario si battono per ottenere verità e giustizia per Daphne Caruana Galizia, uccisa con un’autobomba il 16 ottobre 2017. Alla prima udienza i familiari di Daphne avevano voluto essere presenti davanti al tribunale, dove si trova il memoriale per la giornalista, accanto all’inviato di Avvenire e ai giornalisti maltesi più esposti. Tra essi Manuel Delia, il blogger e columnist del Times of Malta, considerato proprio l’erede di Daphne, e Sylvana Debono, direttrice della testata cattolica “Newsbook” e presidente dell’Istituto dei giornalisti maltesi
Di “occasione persa da parte di Malta e non dei giornalisti maltesi” ha parlato Beppe Giulietti, presidente della Federazione nazionale della stampa italiana. Perplessità, ma non sorpresa per l’esito del processo, è stata espressa dai media maltesi. Per Manuel Delia “questa sentenza ha un effetto agghiacciante sui giornalisti” perché “ancora una volta vediamo le nostre istituzioni rifiutarsi di proteggerli”. L’Ong maltese “Repubblika”, in prima linea nel procedimento per individuare mandanti politici ed esecutori della giornalista assassinata, sostiene che con questo verdetto si dimostra che “non abbiamo imparato nulla dalla disumanizzazione e dall'assassinio di Daphne Caruana Galizia”.
Le principali organizzazioni internazionali per la tutela dell’informzione sono intervenute con una nota congiunta del Centro europeo per la libertà dei media (Ecpmf) a cui aderiscono fra gli altri anche la Federazione europea dei giornalisti (Eefj), l’International Press Institute (Ipi) e Osservatorio Balcani e Caucaso. Il network “condanna la sentenza del tribunale nel procedimento penale contro Neville Gafà”. Per l’Ecpmf “Non riuscire a riconoscere come i giornalisti siano sotto pressione e intimiditi, è anche una delusione per tutti coloro che considerano che ricevere minacce e insulti non dovrebbe essere una routine, come "parte del lavoro" da giornalista”.

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