giovedì 18 febbraio 2021
Parla il commissario al Mercato Interno, Breton: entro 12-18 mesi puntiamo ad essere autonomi sulle dosi, rafforzando gli impianti o riconvertendo
Il commissario Breton

Il commissario Breton - Reuters

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Una completa autonomia produttiva di vaccini per l’Unione Europea entro 12-18 mesi, rafforzando impianti già esistenti o riconvertendo. Nel giorno della presentazione della nuova strategia Ue sui vaccini e le varianti, il commissario al Mercato interno, Thierry Breton, dal 2 febbraio a capo della Task Force Ue per aumentare la capacità dell’attuale produzione dei vaccini, descrive la sua strategia in questo colloquio con Avvenire e altri giornali internazionali (tra cui Financial Times, El País, Die Welt).

Commissario, lei punta ad arrivare alla piena autonomia produttiva dell’Ue in ambito di vaccini. Quanto ci vorrà?

Agiremo molto in fretta. Vogliamo esser pronti anche per le varianti entro l’autunno, per questo abbiamo lanciato oggi (ieri, ndr) l’Hera Incubator. Parlando delle tappe, la prima importante è la stabilizzazione dei processi produttivi. Qui decisivo è l’incremento dei bioreattori (dove vengono «incubati» i vaccini, ndr): dopo due settimane si vede quante dosi si possono ricavare. Ci vuole un po’ di tempo per stabilizzare il sistema, per andare a regime ci vogliono quattro-cinque mesi. Poi, per arrivare alla piena autonomia produttiva ci metteremo 12, massimo 18 mesi. Per la sola Europa penso che saremo a piena capacità già entro fine anno, ma noi guardiamo anche al vicinato.

Si riferisce ad Africa e Balcani?

Esatto. Perché quando diciamo che puntiamo ad avere un tasso di vaccinazione del 70% entro la fine dell’estate, non bisogna guardare solo all’Europa, io insisto molto sui nostri vicini, Africa e Balcani: dobbiamo arrivare a questi livelli di vaccinazioni sul piano planetario. Solo così batteremo davvero la pandemia.

Già, ma come fare?

Siamo in piena cooperazione con gli Stati membri e discutiamo con le case farmaceutiche con cui abbiamo già contratti. È molto importante capire che queste società non avevano proprie capacità produttive, il che naturalmente costituisce un collo di bottiglia: è il caso ad esempio di BionTech e di Oxford. Ecco perché hanno dovuto trovarsi partner fuori Ue, rispettivamente Pfizer (con sede negli Usa, ndr) o AstraZeneca (con sede in Gran Bretagna, ndr). Mi viene da sorridere quando sento dire in alcuni Paesi: avremmo dovuto fare da soli a casa nostra. La verità è che non c’era neanche un solo Paese Ue che avrebbe avuto strutture sufficienti per l’intera produzione, perché nessuno dispone dell’intera catena produttiva. Ecco perché bisogna farlo a livello europeo. Dobbiamo disporre dell’intera catena produttiva, dall’inizio alla fine, e ci riusciremo, come le dicevo, entro 12-18 mesi.

Creando nuovi impianti o utilizzando quelli esistenti?

Creare nuovi impianti da zero richiederebbe almeno cinque, sei anni, e questo non possiamo permettercelo. Tuttavia guardiamo intanto a quelli che già partecipano alla produzione dei vaccini già autorizzati. Vuole l’elenco?

Prego…

Abbiamo un impianto in Austria, quattro in Belgio, uno in Repubblica Ceca, dieci in Francia, sedici in Germania, due in Italia, tre in Olanda, tre in Spagna, uno in Svezia. Alcuni si occupano degli ingredienti attivi, altri dell’infialamento e del confezionamento (come i due in Italia, ndr). È panorama da cui dobbiamo partire come base per la nostra indipendenza.

Dunque non si parla di «riconvertire » impianti destinati ad altri usi?

Certo che sì, servono entrambe le cose, è il centro della nostra strategia. Da un lato vogliamo aiutare le fabbriche già esistenti a incrementare la produzione, dall’altro fare arrivare nuovi attori, magari siti già autorizzati per la produzione di altri tipi di farmaci. Siti che dovranno però essere riconvertiti con la necessaria tecnologia. Potremo aiutarli a trasformarsi nel giro di pochi mesi, in modo da avere disponibili anche ampie capacità da attivare in caso di necessità in qualsiasi momento. Questo è il cuore di EU-Fab, incluso nell’Hera Incubator. Se poi non saranno più necessari vaccini anti-Covid19, potranno essere utilizzati per altri vaccini o altri farmaci.

Quale ruolo per l’Italia? Pochi giorni fa ha parlato con il commissario straordinario Domenico Arcuri...

L’Italia, come accennavo, dispone già di due impianti, tra cui quello di Anagni per l’infialamento e la confezione dei vaccini di AstraZeneca. Ed è pienamente coinvolto nell’aumento di produzione di questo siero che è già del 50%, il che è notevole. Oltre a questi due, in Italia ci sono numerose altre società che potrebbero essere coinvolte. Ogni nuovo candidato è indubbiamente benvenuto.

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