domenica 2 settembre 2018
L’accusa è stata consegnata al Consiglio di sicurezza. A partire dallo scorso 16 maggio negate le autorizzazioni alle Nazioni Unite che non hanno potuto «condurre visite di monitoraggio»
Uno dei salvataggi in mare davanti alla coste della Libia, quando ancora non era attiva la Guardia costiera di Tripoli

Uno dei salvataggi in mare davanti alla coste della Libia, quando ancora non era attiva la Guardia costiera di Tripoli

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Il segretario generale Onu gela gli entusiasmi di chi sostiene che i migranti possano essere affidati senza grosse preoccupazioni alle cure dei libici. Al contrario «migranti e rifugiati hanno continuato ad essere vulnerabili», sottoposti «alla privazione della libertà e alla detenzione arbitraria nei luoghi di detenzione ufficiali e non ufficiali». Lo denuncia Antonio Guterres nell’ultimo rapporto consegnato al Consiglio di sicurezza il 24 agosto. E stavolta l’accusa per i maltrattamenti non è rivolta solo ai trafficanti di uomini e alle prigioni clandestine.

Guterres non è per niente contento di come si sta mettendo la situazione per gli stranieri in Libia. Le Nazioni Unite si erano esposte anche a molte critiche, insistendo per ottenere l’accesso ai centri detentivi del governo, anche a costo di apparire accondiscendente con Tripoli. Negli ultimi mesi, però, agli ispettori Onu è stato vietato l’ingresso nelle strutture di trattenimento ufficiali.

L’atto d’accusa è contenuto in 16 pagine ed esamina i fatti accaduti a partire dallo scorso 7 maggio, quando il segretario generale aveva controfirmato un precedente dossier nel quale si esprimevano una serie di dubbi sull’operato delle autorità libiche a danno di persone migranti e rifugiati. Ma stavolta la missione Onu a Tripoli non ha dubbi: «I colpevoli degli abusi includono funzionari statali, gruppi armati, contrabbandieri, trafficanti e bande criminali». (IL TESTO INTEGRALE DEL RAPPORTO)


Il campionario non è inedito. «Torture, compresa la violenza sessuale, il rapimento a scopo di riscatto, estorsioni, lavoro forzato e uccisioni illegali», avvengono ai danni di stranieri in tutto il Paese. «Il numero di migranti detenuti è cresciuto - scrive Guterres - a causa dell’aumento delle intercettazioni in mare (da parte della Guardia costiera libica, ndr) e per effetto della chiusura delle rotte marittime ai migranti, impedendo la loro partenza».

Già nei giorni scorsi, rispondendo a chi sostiene che non c’è da preoccuparsi perché i centri ufficiali sono gestiti dalle Nazioni Unite, il portavoce per l’area Mediterranea dell’agenzia Onu per i migranti (Oim) aveva ribadito che «chi torna in Libia viene inviato in detenzione arbitraria, in condizioni inaccettabili (bambini compresi) così come affermato proprio da Oim, che - ha precisato Flavio Di Giacomo su Twitter – entra nei centri per alleviare sofferenze ma che non può cambiare la situazione di quei posti, gestiti solo dalle autorità locali».

Nel corso dei quattro mesi esaminati, fra l’altro la missione Onu a Tripoli (Unsmil) «ha raccolto informazioni riguardanti le condizioni di detenzione, la tortura e altri abusi commessi nel centro di detenzione di Zuara supervisionato dal Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale». Si tratta di una prigione governativa nei mesi scorsi presentata come modello del nuovo corso nella gestione dei flussi migratori. Neanche dieci giorni dopo la precedente denuncia «il 16 maggio all’Unsmil è stato negato l’accesso alla struttura dal sindaco di Zuara».

Un episodio che si rivelerà non isolato, ma esito di una precisa scelta delle autorità libiche che non intendono più aprire le porte a testimoni scomodi. I funzionari delle Nazioni Unite non hanno potuto «condurre visite di monitoraggio dei diritti umani nelle strutture di detenzione sotto il controllo del Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale a causa di ostacoli burocratici imposti dall’ufficio protocollo del Ministero degli Affari Esteri e dal dipartimento per le pubbliche relazioni del Ministero degli Interni». Il governo libico, insomma, tiene fuori l’Onu dalle prigioni dei migranti.

Lo scorso 7 giugno, un mese dopo aver ricevuto il precedente rapporto di Guterres, il Consiglio di sicurezza aveva ordinato il blocco dei beni e imposto il divieto d’espatrio a carico di sei boss del traffico di esseri umani in Libia. Tra questi, ricorda il segretario generale, una delle figure più volte denunciate anche da “Avvenire”: «Abdel Rahman Milad (noto come Bija), ex capo della guardia costiera libica ad al-Zawiya, sospeso dal suo incarico il 22 giugno».
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