sabato 18 agosto 2018
Botta e risposta con il ministero sulla gestione dei controlli. Ma per la Commissione Ue spettano alle concessionarie
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Trasparenza sugli obblighi in materia di sicurezza e sugli stessi contratti di concessione, coperti incredibilmente da una sorta di segreto di Stato. Sullo sfondo della tragedia di Genova c’è anche questo grande tema.

E la domanda: a chi toccava la manutenzione per garantire la tenuta del ponte Morandi?

Una risposta drastica è quella data da Ugo Arrigo, economista all’università di Milano Bicocca: «Autostrade si controlla da sola in tema di sicurezza, senza alcun ruolo in merito da parte di organismi pubblici. È sconcertante, è inaccettabile. Esegue con personale proprio ispezioni e (auto)certificazioni, oppure le affida a consulenti pagati dalla medesima società».

È una situazione che chiama in causa l’aspetto normativo: il ministero delle Infrastrutture (Mit) ha sostenuto ieri in una nota che la «verifica strutturale sulle opere in concessione è compito del concessionario», in questo caso quindi Autostrade per l’Italia.

La società controllata dai Benetton ha prontamente replicato rigirando la frittata: il ponte Morandi «era monitorato con cadenza trimestrale dalla Direzione di Tronco di Genova» e sono proprio gli esiti di questi controlli (fra cui il report del 2011 che già segnalava l’«intenso degrado» del viadotto) ad aver portato al nuovo bando per interventi di manutenzione da 20 milioni nei prossimi mesi «approvato dal Mit secondo le norme di legge della Convenzione».

Un riferimento all’atto che nel 2007 definì, senza gara, la concessione trentennale ad Autostrade e che, all’art. 28, fissa che «il concedente (il ministero, ndr) vigila che i lavori di adeguamento siano eseguiti a perfetta regola d’arte». Sono i prodromi della battaglia legale che si svilupperà.

A ben guardare, tuttavia, il tema è più intricato e si compone di vari livelli. Antonio Di Pietro, ex ministro delle Infrastrutture proprio nel 2007 all’epoca della firma della concessione trentennale con Autostrade, ha ricordato che nel contratto fu introdotto uno specifico capitolo che fissava controlli a carico dell’Anas, che poi «dal 2013 passarono sotto il ministero quando fu creata la Direzione per la vigilanza sulle concessioni».

Questa struttura esiste ma, a dire il vero, non ha un’attività particolarmente prolifica. In un’audizione alla Camera a settembre 2016 l’allora responsabile Mauro Coletta lamentava un classico vizio italico: «C’è molta più burocrazia rispetto all’attività che conduciamo», furono le sue parole esponendo dati che denotavano una caduta delle ispezioni, passate a 1.101 nel 2016 (erano 1.400 alcuni anni prima). Basti dire che gli ispettori in missione sono costretti ad anticipare di tasca propria le spese.

La Direzione del Mit per la Vigilanza produce un rapporto annuale. L’ultimo però, disponibile sul sito, è del 2016 e contiene, fra i tanti, un dato che - riletto oggi - mette un po’ di brividi: la spesa annua di Autostrade per le manutenzioni è calata dai 299 milioni del 2008 ai 261,8 del 2016. Un dato non spiega da solo la complessità della prevenzione e valutazione del rischio sulle autostrade italiane. Ma certo alimenta le zone oscure che non sembrano mancare.

A partire da un’opacità voluta, quella sui testi dei contratti.

«Secretare le concessioni fu uno sbaglio – ha detto a La Stampa Andrea Giuricin, docente di Economia dei trasporti –. E gli omissis riguardano proprio la remunerazione degli investimenti, in cambio dei quali alle singole società sono stati riconosciuti, anno dopo anno, gli aumenti dei pedaggi. Nessuno sa come».

Soltanto all’inizio di quest’anno l’ex ministro Graziano Delrio ha finalmente reso noti (anche su Internet) questi 26 testi, ancora solo in parte malgrado i tanti anni trascorsi: mancano spesso, a esempio, i piani finanziari che giustificano le tariffe e le loro variazioni. Una segretezza in apparenza ingiustificata, spiegata solo con l’esigenza di proteggere 'dati sensibili' delle società.

Le 'stranezze' non finiscono qui, però. C’è poi il semi-bluff dell’Art, l’ennesima Autorità nazionale, stavolta in tema di 'Regolazione dei Trasporti': con gran ritardo è stata istituita solo nel 2011 (17 anni dopo la legge che la prevedeva nel 1994 e, soprattutto, ben dopo la privatizzazione del ’99 su cui avrebbe dovuto dire la sua), il collegio è stato nominato l’anno dopo ed è pienamente operativo dal 2013 (il presidente è Andrea Camanzi e si finanzia con un contributo versato dai gestori). Ha competenza su tutte le tipologie di trasporto, autostrade incluse, ma solo per le nuove concessioni. Non su quelle in corso. Insomma, un copione già visto: un balletto di competenze, in parte sovrapposte, che alla fine non fa ben capire l’essenziale, cioè 'a chi spetta fare cosa'. Un’approssimazione delicata quando si parla, appunto, di stabilità delle opere.

Anche se a tagliare la testa al toro - e a dare un supporto al governo Conte - ci pensa la Commissione Ue che, tramite un portavoce, ha ribadito per il secondo giorno che la manutenzione delle infrastrutture «che rientrano nella rete europea Tent», come il ponte Morandi, «nel caso di un’autostrada sotto concessione è nelle mani del concessionario». Si ritorna, quindi, ad Autostrade.

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