venerdì 7 ottobre 2016
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Una parte non piccola dei lettori di giornali (di carta e digitali) cerca ogni giorno notizie e commenti sportivi. Sarà così anche oggi, perché ieri ha giocato la nazionale di calcio. Amare lo sport e il calcio non è un male, tutt’altro. Lo sport è salute, e apprezzare chi fa bene uno sport è positivo. Tutti amano le squadre nazionali, e il calcio è lo sport più popolare.

Perché allora decidere di assegnare a tutte le nazionali di questo sport, dalla squadra dei campioni a quelle dei ragazzini, uno sponsor legato a scommesse e slot machine? Se lo sport è salute, l’azzardo è una malattia che genera dipendenza. Un pubblico che ammira i suoi giocatori riceve un messaggio che dice: "Siate sani e forti come loro". Ma un pubblico accolto da maglie con nomi e simboli e segni legati alle scommesse e all’azzardopatia, riceve un messaggio – pensato e modulato da chi ci guadagna sopra – che dice, non tanto occultamente: "Ammalatevi".

L’atleta che mostra forza fisica è ammirevole, ma l’atleta che mostra anche una forza morale è doppiamente ammirevole. Lascio gli azzardi da un lato e sto preparandomi a parlare di Bonucci e Zarate. Vengono ambedue da un’esperienza dolorosa, che li ha rafforzati.

La sofferenza è una scuola per tutti. Insegna che siamo deboli e indifesi di fronte alla vita, noi come tutti gli altri. E che la prima cosa di cui abbiamo bisogno per vivere è l’amore, sentirsi amati e amare. Il malato guarisce più presto se si sente amato. Se non si sente amato, peggiora. Ragiona così: "Gli altri non mi vogliono bene, perché dovrei volermi bene io?".

Rimproveravano a Madre Teresa di non avere ospedali attrezzati e medicine moderne per curare i malati, di curarli soltanto con l’amore, come se l’amore fosse una medicina. Lei rispondeva che "è" una medicina, e che la cosa che s’aspetta il malato che soffre ai bordi della strada è di vedere un altro uomo che soffre per lui e con lui. Ho conosciuto un attaccante sudamericano, in organico a una squadra italiana, che buona parte del suo guadagno lo mandava in patria, per mantenere una organizzazione di sostegno ai bambini poveri. Quando entrava in campo gli auguravo: "Segna!", anche se giocava contro la mia squadra.

Scrivo questi ragionamenti, un po’ sconnessi, nella sorpresa che mi hanno suscitato ieri le dichiarazioni di Leonardo Bonucci. Un giocatore della Juventus e della nazionale in forte ascesa. Il Chelsea e il Manchester United lo vogliono e mettono sul piatto molte decine di milioni di sterline, offrendo a lui ingaggi da capogiro. Suo figlio è stato malato ma ora, proprio in questi giorni, è guarito, e Bonucci dice che i trionfi professionali non contano niente.

Conta la famiglia. Il nostro giornale sportivo più venduto metteva la frase, virgolettata, in prima pagina. Fosse una frase, che so, di Socrate, conterebbe poco. Ma è una frase del nostro miglior difensore, e per il pubblico pesa molto. Ho scritto questo articolo prima di vedere, ieri sera, Italia-Spagna, e mi preparavo a vederla anche per rispondere a una mia domanda: come gioca Bonucci stasera? Meglio o peggio? Risposta: ieri lo ammiravamo, oggi lo stimiamo.

Zarate: nel corso di Fiorentina-Qarabag, seconda giornata di Europa League, ha commosso tutti il gesto di Mauro Zarate, attaccante dei viola, autore di una doppietta. Dopo il primo gol, l’attaccante si è inginocchiato e ha rivolto le dita al cielo, piangendo un pianto sfrenato. S’è levata la maglia e sotto ne aveva un’altra, con scritta una dedica: "Grazie Dio, Nat ti amo". Nat è sua moglie, malata di cancro. 

 L’attaccante ci ha messo tutto l’impegno per segnare e vincere, per la moglie, per sé, per noi. Non ha vinto sugli avversari, ma sul cancro. È lo stesso giocatore che pochi anni fa fu filmato mentre faceva agli spettatori il saluto fascista. Allora ha "turbato" e fu multato. Oggi commuove e vien festeggiato: tutti i compagni corrono ad abbracciarlo. Idealmente, anche noi. Cosa s’è intromesso, tra allora ed ora? La sofferenza. La speranza. E nessun gesto azzardato. I nuovi gol sono più belli.

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