lunedì 15 maggio 2017
Blitz dell'antimafia contro quattro direzioni generali dei supermercati. Secondo l'accusa avevano rapporti con il clan dei Laudani.
La cosca nei super Lidl e perfino negli uffici del Tribunale.14 arresti
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Commissariamento (per salvare 600 posti di lavoro) delle società di sorveglianza che si occupano della vigilanza dentro Palazzo di Giustizia, ed amministrazione giudiziaria per quattro delle dieci direzioni della Lidl (214 supermercati e quattro centri logistici), la multinazionale tedesca della grande distribuzione, che è estranea alla vicenda, e che però a «imprenditori collusi con la criminalità organizzata catanese» ha «appaltato commesse e servizi sia al Nord (soprattutto in Piemonte ed in Liguria), che in Sicilia».

Per la Procura antimafia «si tratta dello stabile asservimento di dirigenti della Lidl Italia s.r.l., preposti all’assegnazione degli appalti, onde ottenere l’assegnazione delle commesse, a favore delle imprese controllate dagli associati, in spregio alle regole della concorrenza e con grave nocumento per il patrimonio della società appaltante». E infine 14 arresti per presunti legami con la famiglia mafiosa dei Laudani di Catania.

È il bilancio dell’operazione della Dda di Milano, condotta dai pm Ilda Boccassini e Paolo Storari ed eseguita questa mattina dalla Squadra Mobile della questura di Milano e dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Varese.

Al vertice Giacomo Politi, Emanuele Micelotta e Luigi Alecci, tutti vicini ai Laudani: «A Ianuzzu lo voglio bene di più della mia vita, hai capito? Lo stimo perché, prima l’ho cresciuto poi perché la mia famiglia la voglio bene...», dice quest’ultimo di Sebastiano Laudani, detto "Iano il Grande".

I tre costituiscono una società consortile a cui fanno capo una serie di imprese, che si occupano di logistica e servizi, intestate a prestanome (stipendiati per assumersi il rischio del carcere). Il sistema è quello quello delle false fatturazioni, delle società svuotate e liquidate. I libri contabili poi sparivano dentro tir in viaggio verso Sud. Così veniva pagato Salvatore Orazio Di Mauro, «esponente di spicco della famiglia Laudani, uomo di fiducia di Iano il grande nonché sposato con una figlia dei Laudani, che in passato provvedeva al sostegno dei detenuti della famiglia mafiosa». Così venivano pagati Nicola e Alessandro Fazio, «gestori di società che si occupano di sicurezza anche nel palazzo di Giustizia».

A libro paga anche «Orazio Elia (ex Consiglio regionale) e Domenico Palmieri (ex Provincia)» per il loro «ruolo di associati, pensionati della pubblica amministrazione sanitaria e provinciale che sfruttano a pagamento le loro relazioni con esponenti del Comune di Milano, di sindaci, Assago, di consiglieri e assessori, per ottenere commesse e appalti da proporre ai loro clienti».

La dottoressa Giovanna Rosaria Maria Afrone responsabile (ora sospesa) per il Comune di Milano del Servizio Gestione Contratti Trasversali, si impegnava invece «ad assicurare, alle imprese facenti capo agli indagati, l’assegnazione di plurimi appalti, per contratti di servizio di durata temporanea, da parte del Comune di Milano, ciascuno per un importo complessivo compreso entro euro 40 mila, sempre (quindi) tramite procedure di affidamento diretto». Un appalto per l’allestimento delle cabine elettorali, una catena di panetterie, «una riconversione di una struttura edilizia, già esistente all'interno del parco della Villa Comunale di Monza, in una scuola». E ancora: pressioni e compensi promessi a un consigliere di Cinisello «affinché contribuisse a modificare i vincoli urbanistici esistenti su una villa di rilevanza storica con annesso parco» trasformandola in «campi da tennis, parco giochi», con «bar e pub».

Gli interessi diversificati degli associati, con un core business: relazioni e informazioni, su tutto, ciò che li riguardava, tanto da varcare la soglie dell’ufficio della Boccassini. «Vale indubbiamente la pena di citare: la persona che ha modo di rivelare, ad uno degli indagati, quanto appreso visionando direttamente il fascicolo dell’indagine sul tavolo di lavoro del Procuratore Aggiunto della Repubblica, responsabile della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano». Ma «un informatore risulta, invece, compiutamente identificato». Si tratta di un ufficiale della Guardia di Finanza «in servizio presso il Nucleo di Polizia Tributaria di Como».

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