sabato 23 maggio 2020
L'intervento il giorno dopo lo "sciopero degli invisibili" nella Piana di Gioia Tauro: lo sfruttamento è una via di adorazione del male. La regolarizzazione? Passo avanti, ma si può fare di più
Immigrati africani durante la raccolta delle arance a Rosarno, Reggio Calabria

Immigrati africani durante la raccolta delle arance a Rosarno, Reggio Calabria - Foto d'archivio, Ansa

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No a ogni forma di caporalato e sfruttamento. I vescovi della Calabria scendono in campo alzando la voce e condannando tutte le situazioni di sfruttamento nella filiera agroalimentare e soprattutto del fenomeno del caporalato che definiscono «un male antico e sempre presente, magari sotto forme diverse nel tempo e spesso ignorato pur di non prendere la giusta posizione, la corretta scelta tra il bene e il male».

Oltretutto – spiegano – il caporalato è «nelle mani delle organizzazioni criminali» che utilizzano «metodi mafiosi per il controllo del territorio». Un’«autentica opera di conversione e di liberazione» dei territori dalle mafie passa anche dal “superamento” di questa piaga che rappresenta «una delle vie di adorazione del male», di cui ha parlato papa Francesco a Cassano allo Jonio nel 2014.

La nota è stata diffusa il giorno dopo lo "sciopero degli invisibili" promosso anche in Calabria nei campi della Piana di Gioia Tauro dove vivono centinaia di migranti impiegati nei lavori agricoli. E, proprio in riferimento ai migranti, si dicono convinti che il governo, dando spazio ad essi nel “decreto Rilancio” «segna un passo avanti nella definizione della problematica, sotto il profilo della tutela della salute e della lotta all’illegalità». «Limitazioni delle misure a determinate categorie, procedure non sempre semplificate e la breve durata dei permessi – scrivono – rendono evidenti la necessità di una svolta ancor più radicale», come ha testimoniato lo sciopero.

La Chiesa calabrese intende ribadire la «necessità dell’affermazione dei principi della dignità della persona umana e della sacralità del lavoro per liberare tanti uomini e donne dalla loro condizione di sostanziale schiavitù, condannando ogni forma di sfruttamento come attentato alla dignità dell’uomo, che, in quanto peccato sociale, grida vendetta al Cielo». «Resta la fiduciosa speranza – scrivono i vescovi – che il cammino intrapreso possa essere irreversibile, sostenuto in chiave locale dai segnali di attenzione lanciati anche dalla Regione, attraverso l’attivazione di progetti dedicati alla definizione dell’emergenza sanitaria e di quella abitativa».

I presuli calabri sottolineano anche come la crisi sanitaria che ha colpito l’economia reale del Paese ha fatto «riesplodere nodi cruciali e problematiche che si trascinano da anni». Una crisi – dice il direttore di Migrantes regionale, Pino Fabiano – che «lede la dignità delle persone nel solco di una situazione preesistete». Basta pensare ai lavoratori in tanti settori, «senza tutela e che in questo momento di emergenza stanno toccando il fondo».

«La nostra percezione – spiega don Antonino Pangallo, delegato regionale Caritas – è che la Calabria sia stata risparmiata dall’emergenza sanitaria, ma probabilmente non sarà risparmiata da un’emergenza economica e sociale, anche perchè questa si inserisce in un contesto problematico già cronico». Oggi, rileva ancora don Pangallo «non è facile avere numeri precisi, certo è che abbiamo registrato un raddoppio nelle richieste di beni primari, richieste provenienti anche da categorie che finora non vedevamo ai nostri sportelli: penso ad esempio ai filippini, caduti nella crisi non potendo lavorare nelle case». Don Pangallo va oltre la fase 2 nella quale il bisogno alimentare «non sarà l’unico, perché a rischio – dice – c’è il diritto alla salute, e poi la povertà educativa, il lavoro che non ci sarà, e qui poi è già scarso, precario e spesso in nero». E inoltre c’ è il «grande rischio dell’usura».





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