domenica 17 luglio 2022
L’ex premier: spetta a lui valutare se ci sono le condizioni per continuare. Il Movimento c’è solo se otterrà risposte
Conte rilancia la palla a Draghi

Ansa

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Nel primo week-end che segue lo strappo dei 5 stelle, continua "l’assemblea permanente" dei pentastellati nel tentativo di trovare una posizione unitaria e presentarsi mercoledì, giorno delle comunicazioni del premier alle camere, con un’immagine di compattezza. Un’impresa, perché il solco tra governisti e oltranzisti è sempre più profondo (pare che altri trenta parlamentari siano pronti a passare coi dimaiani) e il tentativo di riempirlo nell’ennesima riunione congiunta di sabato sera, seguita a un altro consiglio nazionale di 5 ore, non ha dato i frutti sperati. Lo si è capito dal discorso pronunciato da Giuseppe Conte prima di incontrare i suoi, che in fondo ricalca quelli precedenti e non dà segnali sulla possibilità che la divisione interna sia superata. Né chiarimenti sul futuro della delegazione pentastellata al governo.

In buona sostanza, ha spiegato l’avvocato pugliese, il M5s non è disposto a trattare sui punti noti (salario minimo, inceneritore, superbonus e aiuti alle famiglie), ma resta comunque disponibile a rimanere davanti a segnali concreti. «La risposta di Draghi – ha fatto sapere l’ex premier – non è ancora venuta, c’è stata qualche generica apertura ma nessuna indicazione concreta sulle soluzioni. Il M5s c’è se otterrà risposte alle sue richieste». La mossa, insomma, è chiara: passare la palla al premier e in qualche modo addossargli anche la responsabilità di un’eventuale crisi. «Spetterà a Draghi valutare se ci sono le condizioni per garantire al M5s di poter svolgere la sua azione politica nel contesto di una maggioranza poco coesa, consentendogli di poter godere di rispetto e della medesima correttezza accordata da M5s alle altre forze politiche».

L’assemblea, tra l’altro, è seguita all’annullamento di un altro vertice, quello dei deputati grillni, che il capogruppo a Montecitorio, Davide Crippa, ormai in aperto contrasto col presidente, aveva convocato per sabato pomeriggio. La battaglia interna si è così spostata nella congiunta. Già nel consiglio nazionale la tensione ha dominato il confronto tra le anime del partito. Con le "colombe" che hanno riproposto l’ipotesi di dare ancora la fiducia all’esecutivo nell’eventualità di una verifica parlamentare. Tra queste, il titolare per i Rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà, il più draghiano dei pentastellati, che ha proseguito nel suo lavorio per scongiurare la rottura definitiva. Sabato ci ha riprovato e nel corso del consiglio nazionale ha diramato una scheda sui rischi di un’eventuale fine dell’esperienza dell’ex governatore della Bce a Palazzo Chigi. «Le dimissioni del Governo – si legge nel testo – potrebbero condurre ad uno scenario estremamente critico» per «i principali provvedimenti» e in particolare «quelli relativi alle riforme abilitanti per gli obiettivi del Pnrr entro dicembre». Senza contare che «una crisi di governo e un eventuale scioglimento delle Camere inciderebbero anche sull’adozione dei decreti legislativi attuativi di riforme già approvate dal parlamento» come quella sulla giustizia e sul codice degli appalti». Nessun segnale intanto sulla possibilità di un eventuale voto su Skyvote per decidere la linea.

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