venerdì 18 settembre 2020
Nel primo semestre dell’anno fatturato giù del 25%. Ormai una terra «plurale» è diventata «duale»: Nord e costa tengono, Sud e aree interne alla corda
Le Marche nel tunnel della lunga crisi. La «Regione rossa» guarda a destra

Ansa

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Ne dovrà fare di 'ripetute', Maurizio Mangia-lardi, se vorrà sovvertire i pronostici che assegnano la vittoria delle regionali marchigiane a Francesco Acquaroli, il pupillo di Giorgia Meloni. Per esorcizzare lo spettro della svolta storica in una Regione «mai governata dalle destre», il sindaco di Senigallia nei giorni scorsi ha chiamato a raccolta i runner del Pd. Appuntamento all’alba. Al Passetto, che sono i Parioli di Ancona. L’obiettivo: (rin)correre una campagna elettorale iniziata con la sconfessione della giunta Ceriscioli (Pd), proseguita con il fallimento dell’accordo con i Cinque stelle e che potrebbe concludersi con una sconfitta di dieci punti. In queste settimane, il presidente dei Comuni marchigiani le ha tentate tutte per far dimenticare agli elettori le responsabilità della sinistra, promettendo di archiviarne la politica sanitaria per investire sui presìdi del territorio e di sbloccare la ricostruzione, ferma dal giorno del terremoto, il 26 agosto 2016. Più o meno le stesse promesse che fa l’avversario, il quale però può vantare di non aver mai governato a palazzo Raffaello. Non è un caso che il partito più forte siano gli indecisi, stimati intorno al 40%. Al Passetto, a correre con il Pd, domenica scorsa si sono presentati in venti.

A San Severino Marche, l’enclave maceratese di FdI, nel pomeriggio erano poco più del doppio ad ascoltare Acquaroli. Solo Salvini, lunedì mattina, ha riempito i tavolini di piazza del Popolo, ad Ascoli Piceno. Ma anche in questo caso non si pensi ad un’adunata 'oceanica', come quella di Macerata in agosto. Alla vigilia del voto, il grande elettore di Mangialardi, il vicepresidente dell’Anci Matteo Ricci, sindaco di Pesaro, scommette ancora sulla vittoria: «Col clima di disaffezione che si registra, chi convince i propri elettori abituali ad andare alle urne vince». Politicamente, neanche in casa dem si parla più di 'Regione rossa', dopo il salasso delle europee. Le speranze del Pd si appuntano sul voto utile: si vota con il sistema proporzionale a turno unico e i democratici cercano di sfilare almeno il 10% al pentastellato Gian Mario Mercorelli.

«Abbiamo cambiato candidato malgrado avesse fatto cose buone – ammette Ricci – perché c’era una percezione non positiva su lavoro, terremoto e sanità. È un giu- dizio che non condividiamo, anche perché i problemi vanno condivisi con almeno tre diversi governi nazionali, ma ne abbiamo preso atto. Ora ci aspettiamo che gli elettori del M5s capiscano che non votare Mangialardi significherebbe spianare la strada al candidato sconosciuto ed estremista del centrodestra». In cauda venenum. Acquaroli, infatti, è stato accusato di aver partecipato a una cena di nostalgici fascisti. L’interessato ha smentito che si trattasse di una commemorazione della marcia su Roma, ma in una Regione dalle profonde radici resistenziali basta un cerino a scatenare l’incendio. Che Acquaroli sia uno «sconosciuto» e un «fantasma» è invece ingeneroso.

Per la poltrona di governatore corse già nel 2015 e, per quanto quella fosse una candidatura di servizio, il sindaco di Potenza Picena raccolse più voti dei partiti che lo sostenevano. Lui attacca a testa bassa sulla sanità, vero punto debole della giunta uscente: «Con la chiusura degli ospedali e dei punti nascita – dicono a destra – si costringono le madri marchigiane ad andare a partorire in Umbria». Sul piano simbolico, il flop dell’ospedale Covid di Civitanova Marche, con un decorso analogo a quello della Fiera di Milano, ha evidenziato le pecche di una politica di tagli che negli anni precedenti ha condotto alla chiusura dei piccoli nosocomi, con un’emorragia di posti letto in nome di economie su cui in altri tempi si vincevano le elezioni.

Il Covid 19 ha smontato il paradigma del rigore. Sicuramente meno fondate sono le accuse che bersagliano il centrosinistra sulla gestione di una ricostruzione che sulla carta finanzia addirittura le seconde case (è la prima volta) ma poi prevede tanti e tali vincoli da trasformare le premesse in promesse. Acquaroli non prende di petto la questione, in quanto la Lega, che lo sostiene, ha avuto parte in commedia con il commissario Farabolini, espressione del governo giallo-verde. Mangialardi, per contro, non perde occasione per esibire l’amicizia con l’attuale commissario Giovanni Legnini, il quale invece ha subito ingranato, rinfocolando le speranze dei marchigiani. Peraltro, su questa partita la Regione non ha delle grandi responsabilità, perché in passato si è limitata a fare da passacarte dei governi nazionali. Eppure, per i marchigiani, se solo il 10-20% per cento delle pratiche cammina è colpa di Ceriscioli e compagni.

Le Marche aspettano il 65% di quei 23 miliardi che lo Stato deve sborsare per suturare le ferite del sisma del 2016 e per adesso ne sono arrivati nove, ma con il decreto semplificazione e le ordinanze del nuovo commissario si può ricostruire in deroga nei centri storici e ricevere i soldi a cento giorni dalla presentazione della domanda: una svolta storica, questa sì, anche se il centrosinistra non ne staccherà il dividendo. Sicuramente più pesanti sono le colpe della classe dirigente marchigiana sul piano economico. Certo, passata l’emergenza Covid 19, sul Conero si è tornati all’estate di sempre: cene sulle terrazze di Sirolo e grandi plateau di moscioli e bombetti annaffiati di verdicchio. «Non avremmo mai pensato di lavorare tanto», ammettono i ristoratori.

Ma sotto la superficie del turismo di lusso permane la sofferenza di un entroterra devastato dallo spopolamento. Il divario tra l’Appennino e la costa si sovrappone a quello storico tra le province del Nord e quelle del Sud: la distribuzione dei seggi in assemblea regionale - 16 ad Ancona e Pesaro, 14 tra Macerata, Fermo e Ascoli - conferma che le Marche sono una Regione duale, più che, come si dice spesso, plurale. Il ritardo del Sud e delle aree interne è stato acuito dalle quattro crisi che hanno attanagliato questa regione dal 2008, tra cui il crack della Banca Marche che ha azzerato l’edilizia, l’arredamento e l’industria delle macchine per la lavorazione del legno. La discesa agli inferi non è finita: il fatturato regionale è crollato del 25% nel primo semestre di quest’anno. Siamo alla crisi di un modello - labour intensive e pmi - e il presidente della Camera di commercio regionale, Gino Sabatini, incontrando i candidati, all’inizio del mese ha chiesto «non interventi a pioggia ma progetti mirati». Come in Emilia, verrebbe da dire. Dove, non a caso, Bonaccini è rimasto in sella.

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