mercoledì 15 maggio 2019
Il mondo delle comunità terapeutiche e di chi ogni giorno si impegna in prevenzione e sostegno alle famiglie sul fronte delle dipendenze contro la normalizzazione delle droghe
Le comunità contro: «Fermare la normalizzazione della droga»
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Non ci sta, il mondo delle comunità terapeutiche e di chi ogni giorno si impegna in prevenzione e sostegno alle famiglie sul fronte delle dipendenze. La «sdrammatizzazione del fenomeno», «l’abbassamento della percezione del pericolo» – da parte dei ragazzi soprattutto – e «la normalizzazione dell’uso della droga» che la diffusione dei cannabis shop portano con sé sono punti su cui non c’è possibilità di negoziazione, «non oltre».

Antonio Tinelli, da San Patrignano, non usa mezzi termini: «Si è toccato il fondo con la campagna pubblicitaria del recente Festival della canapa organizzato a Milano», spiega. Il riferimento è ai cartelli con le foglie di cannabis e lo slogan “Io non sono una droga”, «l’epilogo della strategia che ormai da anni vediamo applicata nel nostro Paese – continua –. Si è partiti dalla necessità della legalizzazione della cannabis terapeutica, su cui per altro non abbiamo mai avuto nulla in contrario. Ma poi si è proseguito lungo la china del “minore dei mali”, arrivando a spacciare la cannabis light come qualcosa di meno lesivo per la salute, di normale. E sulla confusione, messa in atto anche dal legislatore con una norma lacunosa (la 242 del 2016, ndr) si è arrivati al pasticcio finale ».

«È chiaro a tutti ormai che ci troviamo di fronte ad un un fenomeno in costante evoluzione e difficilmente controllabile» rincara la dose il presidente della Federazione italiana comunità terapeutiche, Luciano Squillaci: «Si è abbassata notevolmente la percezione dell’uso di sostanza come comportamento a rischio. I ragazzi hanno una percezione fuori dalla realtà e l’uso della cannabis è ormai ritenuto normale, in diversi casi persino legale. Circa 800mila studenti affermano di aver assunto sostanze, pari al 33% della popolazione studentesca». Il punto di vista delle comunità è quello di chi guarda alla sofferenza immane della dipendenza, ed è stato portato proprio sul tavolo del confronto col governo la settimana scorsa. Insieme ai dati messi nero su bianco dagli esperti: a cominciare da quel parere del Consiglio superiore di sanità, il massimo organo consultivo del ministero della Salute, che si era raccomandato appena un anno fa che fossero «attivate, nell’interesse della salute individuale e pubblica e in applicazione del principio di precauzione, misure atte a non consentire la libera vendita dei prodotti a base di cannabis light». Il motivo? La constatazione che «la pericolosità dei prodotti contenenti o costituiti da infiorescenze di canapa non può essere esclusa ».

Ma a destare clamore, in questi giorni, sono stati anche i risultati di uno studio dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Verona guidato da Giovanni Serpelloni – già capo del Dipartimento antidroga della presidenza del Consiglio – assieme a Miur e proprio San Patrignano: su 1.484 studenti intervistati (di età compresa tra i 13 e i 19 anni), «oltre il 40% ha dubbi o convinzione errate sulla ipotetica avvenuta legalizzazione della cannabis in generale». E ancora, tutti i dubbi sul Cbd, ovvero il cannabidiolo, l’altra sostanza presente in alte percentuali nella cannabis light che viene venduta come rilassante e «su cui non esistono studi scientifici».

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