giovedì 1 febbraio 2018
A due anni dal termine degli studi, la Fondazione Agnelli ha indagato la condizione dei giovani degli Istituti tecnici e professionali: il 28% è occupato ma il 27,4% è scivolato tra i Neet
A due anni dal diploma tecnico e professionale il 27% non lavora e non studia
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Non è poi così vero che studiare agli Istituti tecnici e professionali garantisca un posto di lavoro dopo il diploma. A sfatare questo mito ci pensa la ricerca “La transizione dai percorsi scolastici al mondo del lavoro per i diplomati degli istituti tecnici professionali. Un’analisi delle banche dati amministrative”, presentata oggi dalla Fondazione Agnelli, dal Centro di ricerca interuniversitario per i servizi di pubblica utilità (Crisp), dal Miur e dal Ministero del lavoro e politiche sociali.

Uno lavora, uno studia e uno è un Neet

A grandi linee, il report, realizzato analizzando gli esiti sul mercato del lavoro di quasi 550mila diplomati tecnici e professionali negli anni scolastici 2011/12, 2012/13, 2013/14, evidenzia come, a due anni dal diploma, il 28% dei giovani sia occupato, il 27,4% sia inserito tra i Neet (coloro che non studiano e non lavorano e non sono in formazione) e il resto sia iscritto a un corso universitario. Tra il terzo circa che lavora, il 27,6% ha un contratto a tempo indeterminato e il 22,2% è in apprendistato.

«Sono cresciuti i contratti a tempo indeterminato – ha sottolineato il direttore della Fondazione Agnelli, Andrea Gavosto – mentre sono diminuiti quelli di apprendistato, a cui si era fatto invece massiccio ricorso dopo la riforma Fornero; i contratti a tempo determinato, inoltre, non hanno registrato sostanziali variazioni».

Il 14,7% ha svolto lavori saltuari e frammentari, cumulando meno di sei mesi di lavoro in due anni e finendo, così, tra i sottoccupati. Inoltre, a due anni dal diploma, un diplomato su tre (34,3%) degli occupati svolge un lavoro coerente col titolo di studi conseguito, mentre il 14,4% svolge professioni trasversali. La metà di dei diplomati (51,3%) deve accontentarsi di un lavoro qualsiasi. Tutti hanno dovuto aspettare in media nove mesi prima di trovare un'occupazione.

Difficoltà di inserimento e stabilizzazione

«Uno dei principali problemi del Paese - ha ricordato Mario Mezzanzanica del Crisp - è la difficoltà di inserimento e stabilizzazione lavorativa dei giovani. Dai dati si colgono elementi specifici come i tempi di ingresso, la coerenza tra studio e lavoro, le tipologie contrattuali, lo stato occupazionale, articolati per territorio, genere e scuola. Tali specificità possono rappresentare un importante contributo a supporto delle politiche per i sistemi dell’istruzione e del lavoro al fine di rispondere concretamente ai bisogni dei giovani».

«Saper fare di qualità»

A questo proposito, la ministra dell'Istruzione, Valeria Fedeli, ha ricapitolato gli interventi già messi in campo: la riforma dell'istruzione professionale, con l'introduzione di nuovi indirizzi, che «offriranno una scelta più ampia e articolata alle studentesse e agli studenti, coerente con le opportunità offerte dai diversi ambiti del Made in Italy e con le specificità culturali e produttive del Paese» e la messa a regime dell'alternanza scuola-lavoro, «esperienza formativa espressione di un sistema di istruzione e formazione che istruisce e al contempo educa i giovani al “saper fare di qualità”, indispensabile per il loro domani».

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