domenica 11 agosto 2019
Una storia al giorno. “Avvenire” racconta il Paese degli invisibili: vite di migranti sospese, ai margini del sistema di accoglienza, bloccate dallo stop alla protezione umanitaria
Migranti impegnati a ripulire l'Arno, Firenze, 13 luglio 2017 (ANSA/MAURIZIO DEGL'INNOCENTI)

Migranti impegnati a ripulire l'Arno, Firenze, 13 luglio 2017 (ANSA/MAURIZIO DEGL'INNOCENTI)

COMMENTA E CONDIVIDI

Ha appena compiuto 21 anni, E.D., e ha fatto da pochi giorni la sua prima dichiarazione dei redditi: vedere nero su bianco quello che ha guadagnato con il suo lavoro e le tasse che ha pagato è motivo di orgoglio. Ha anche detratto una parte delle spese che – come molti ragazzi – ha dovuto sostenere per curarsi i denti («Ora ne manca uno qui davanti, ma non mi fanno più male»). E.D. non è stato particolarmente fortunato, solo ha dimostrato molta capacità e voglia di lavorare: fra il 2017 e il 2018 è passato da esperienze di tirocinio a un primo contratto a tempo determinato come operaio, poi rinnovato.

È un lavoro di cui parla con entusiasmo e con termini tecnici appropriati, mentre mostra le fotografie della “sua” bella fabbrica in provincia di Bergamo: «Fare bene una zincatura non è facile, ma è bello, anche se faccio i turni di notte e il viaggio andata e ritorno da Milano è molto faticoso, quasi tre ore tra bicicletta e treno». E.D. avrebbe altri motivi per vedere il bicchiere mezzo pieno: con altri due ragazzi ha trovato una casa per fine mese. Gli amici non gli mancano, quelli dello Sprar dove vive, quelli del calcio (pare che sia molto bravo ma soprattutto «come dice il mister, il calcio è una scuola di vita»).

E poi quelli della Comunità di Sant’Egidio: «La scuola della domenica, perché al Cpia durante la settimana non posso proprio andare, poi gli incontri e tante cose da fare assieme, anche volontariato con gli anziani ospiti di un istituto». Insomma, E.D. è andato molto avanti sui sentieri dell’integrazione e, nonostante con le treccine rasta rivendichi un orgoglio africano, il Gambia è lontano anni luce, e del resto lì non ha più – ma in fondo non ha mai avuto – nessuno. Ma da più di due mesi il bicchiere gli appare sempre più vuoto: «Da solare e sorridente è diventato sempre più cupo, pessimista, depresso», dice Mimma Gallina della Comunità di Sant’Egidio. Il problema è l’esito (atteso ormai da maggio) dell’“atto di citazione contro la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazio-nale”.

E.D. è arrivato minorenne non accompagnato nel 2016; compiuta la maggiore età gli è stata negata la protezione ma il suo avvocato si è opposto al provvedimento di diniego. L’ultima udienza si è svolta a metà maggio, la decisione ora è in mano ai giudici, che dovranno esaminare e tenere in considerazione anche la storia di abbandono e vessazioni subite in da questo ragazzo in Gambia, prima di sperimentare da noi gli effetti positivi del processo di integrazione.

E.D. è molto preoccupato, non sa sopportare lo stato d’ansia, è impaziente. «Se mi dicono che devo andare via, io in Gambia non ci torno. Piuttosto... non so, forse vado in Canada. Lì si sta bene». Come? «In treno, in autobus, a piedi» e mostra sulla carta il percorso che gli sembra possibile: attraversa tutta la Siberia e passa in Alaska dallo stretto di Bering.

VITE NEL LIMBO: GLI ARTICOLI

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI