domenica 1 agosto 2021
La riforma fiscale non considera i carichi familiari: l’assegno non aiuta il Paese se non è per (quasi) tutti. La proposta di Lepri (Pd): una «progressività relativa»
La rivoluzione arriverà solo se sarà davvero «universale»

Ansa

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Ora che il decreto sull’'assegno ponte' per i figli è stato approvato anche alla Camera e promulgato dal capo dello Stato, e che gli italiani che ne hanno fatto richiesta stanno ricevendo le somme sui conti correnti (una novità assoluta per autonomi e disoccupati, una conferma con aumento per i dipendenti), può iniziare il conto alla rovescia verso il vero obiettivo: l’assegno unico e universale 'definitivo' che deve debuttare a gennaio 2022. Mancano cinque mesi, c’è un grande consenso politico tra le forze in Parlamento, e soprattutto un linguaggio sulle politiche familiari che finalmente sembra essere diventato patrimonio comune. Tuttavia restano alcuni nodi da sciogliere non di poco conto, e a seconda di come verranno affrontati, e di quale approccio riuscirà ad essere accolto, una delle riforme più significative di questa stagione politica potrà risultare efficace anche in virtù del messaggio culturale che riuscirà a trasmettere. Un punto centrale è quello dell’universalità, tema che ha due facce: far avere l’assegno a tutti i genitori a prescindere dalle categorie di appartenenza, e anche a prescindere dal reddito. La questione è spinosa, perché da una parte c’è chi vorrebbe mantenere un assegno fortemente selettivo, che cioè decresce violentemente al crescere del reddito (fino ad azzerarsi), come erano gli Anf per i dipendenti e come è stata disegnata la misura-ponte; dall’altra chi insiste per un assegno il più possibile simile a quello in vigore nei principali Paesi europei, dalla Germania alla Francia, alla Svezia... cioè uguale per tutti. Considerato che la delega contempla sia il criterio della progressività sia quello dell’universalità, l’equilibrio andrà trovato con sapienza. La politica ha dimostrato di avere chiara la questione. La ministra per la Famiglia Elena Bonetti ha sempre difeso il principio dell’universa-lità, la chiave di ogni politica familiare. Così l’onorevole Pd Stefano Lepri, intervenendo alla Camera, ha ben ricordato in questo senso che una via di mezzo è necessaria, considerato che «la progressività si applica già con le imposte dirette alle persone fisiche e non si dovrebbe applicare, se non in maniera relativa, con l’assegno unico».

Tuttavia si dovranno fare i conti con le resistenze culturali di ampie porzioni della società, fedeli a uno sguardo sulle politiche familiari intese come esclusivo contrasto alla povertà, e non come misura di stabilità economica per le coppie, di sostegno alle nascite e per l’equità orizzontale che valorizza le famiglie rispetto ai singoli. In questo senso saranno decisivi i confronti che i tecnici del ministero dell’Economia e delle finanze avranno nei prossimi giorni con associazioni, politici, ricercatori esperti di politiche familiari, per testare l’effetto delle varie simulazioni.

Il tema dell’universalità è cruciale. Dato che la riforma fiscale in programma al momento esclude un’attenzione speciale per la famiglia, cioè l’idea di tassazioni differenziate tra chi ha figli e chi no, spetterà all’assegno unico controbilanciare la progressività dell’Irpef, 'alleggerendo' il carico anche su chi paga più tasse ma ha figli a carico, come è in Europa. In questo senso, è difficile riconoscere il valore di un assegno che si azzera del tutto. Tanto più se si considera che il beneficio varierà al variare delle dichiarazioni Isee, ma i contribuenti possono trovarsi a pagare aliquote non uniformi a parità di reddito (si pensi agli autonomi con il regime forfettario al 15%), o a vivere in contesti dove il costo della vita è molto diverso, per non parlare delle 'eredità attese' e altre 'fortune' che sfuggono al redditometro. E, va ricordato, se si tiene conto che le detrazioni fiscali per i figli a carico, oggi ancora in vigore, e di cui molti nuclei beneficiano grazie al secondo percettore di reddito, saranno cancellate dal 2022.

Le simulazioni del nuovo assegno che circolano sono molte. Un esercizio utile che potrebbe essere fatto è di considerare solo quelle che prevedono un’aggiunta di risorse rispetto allo stanziamento attualmente disponibile di 21,7 miliardi: questa cifra, infatti, non basterà se si vogliono escludere penalizzazioni rispetto a oggi, dunque serviranno più dei 6 miliardi aggiuntivi concessi dal precedente governo, a maggior ragione se quest’anno non ci saranno margini per la riforma fiscale.

Tra le ipotesi, in campo vi è anche la possibilità di sterilizzare una parte del patrimonio nel calcolo dell’Isee così da non penalizzare chi ha risparmiato guardando al futuro, o di alleggerire il peso del secondo percettore per non scoraggiare il lavoro femminile (all’estero questi problemi li hanno risolti con un assegno 'piatto'...). Anche la questione del premio ai figli dal terzo in poi resta da affrontare, ed è auspicabile che il valore di una famiglia numerosa possa essere riconosciuto, come è stato fatto con l’assegno-ponte: il vero gap della natalità italiana è proprio nella difficoltà di fare il 'salto' dal secondo figlio.

Il nodo forse più difficile da sciogliere resta però quello del Reddito di cittadinanza che, integrato con il contributo dell’assegno, può arrivare in certi casi a concedere un’erogazione monetaria pari a un reddito da lavoro. E questo può rappresentare una distorsione critica se si considera il rischio di far cadere l’intero nucleo familiare in una 'trappola della povertà'. Per questo si sta pensando di prevedere una limitazione del Reddito in caso di diritto all’assegno unico, ipotesi più corretta rispetto all’idea di tagliare l’assegno se si ottiene il Reddito. Anche se in realtà una soluzione più corretta potrebbe essere quella di vincolare una parte del contributo alla spesa in servizi educativi, considerato che spesso nel disagio la prima forma di povertà da affrontare è proprio educativa e culturale.

I punti da affrontare da qui all’assegno unico e universale definitivo sono molti, ma rischi e opportunità appaiono abbastanza chiari. È importante che anche questa tappa sia conclusa bene e in tempo, perché già sappiamo qual è il traguardo successivo, se veramente si vogliono portare le famiglie italiane in Europa e se si intende aprire una nuova stagione aperta al futuro: il Family Act.

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