mercoledì 20 maggio 2020
Albino, Alzano e Nembro provano a tornare alla quotidianità, dopo le settimane del dolore.Dagli anziani seduti al bar alle mamme coi bimbi, tutti hanno la mascherina. Il reportage
La Val Seriana vuole voltare pagina «Marzo? Come un mese di guerra»

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Il primo cliente mi ha chiesto un paio di ciabatte. Si vede che durante il lockdown le aveva consumate in salotto...». Da dietro il bancone del suo storico negozio di calzature, aperto dalla sua famiglia nel lontano 1850, Ernesto Cugini sorride ironico. Anche ad Albino, come nel resto della media Val Seriana, il peggio sembra essere ormai alle spalle. La coda nera del virus lascia dietro di sé una scia di nuovi contagi (78 dall’inizio della "Fase due"), ma non è niente in confronto all’incubo in cui si era sprofondati a marzo. «È stato come un mese di guerra – ricorda il sindaco Fabio Terzi –, contavamo 8-9 morti al giorno. Nelle ultime due settimane invece abbiamo registrato solo due decessi, entrambi per Covid. Addirittura sotto la media annuale».
I brutti ricordi restano incisi nell’anima, ma nella testa c’è la voglia di tornare a vivere. Se non come prima, almeno in un modo che ci assomigli il più possibile. Camminando per via Mazzini, l’arteria commerciale di quello che con i suoi 17mila abitanti è il Comune più popoloso della valle, si nota una nuova normalità, cui tocca adattarsi per forza. Tutti indossano la mascherina, dalla madre coi bambini fino alla coppia di pensionati. La abbassa solo chi si siede ai tavolini dei bar, senza badare troppo alla distanza di un metro. Non è semplice, se ci si lascia andare a due chiacchiere.

Tra un caffè e un aperitivo, si trova la forza di bucare la coltre di dolore che ancora grava sul paese. Battute, sorrisi, c’è persino chi ammicca. Come quel signore attempato che entra nel bar Al Bistrot in camicia sgargiante e saluta con galanteria la ragazza nell’angolo. «Con la mascherina non ti avevo riconosciuto, ma sei sempre bellissima». Antonio e Dorina, i due fratelli albanesi che da 12 anni gestiscono il locale, dicono che «c’è abbastanza gente, sicuramente più degli ultimi giorni prima del lockdown, quando non entrava più nessuno». Giorni in cui i necrologi «erano passati da due a dieci» ricorda Emanuela Testa, assessore alla Cultura. Senza contare la strana polmonite che aveva colpito a gennaio un altro assessore, un 35enne sano e robusto, poi guarito.

Segnali inquietanti, captati dalla giunta. «Già la mattina del 23 febbraio – dice il sindaco Fabio Terzi – dopo la notizia del primo caso Covid a Codogno, annullai la sfilata di Carnevale, seguito a ruota da tutti gli altri paesi. Al pomeriggio esplose il caso Alzano. Da quel momento ho chiuso tutti gli spazi comunali, anche se per qualcuno esageravo. Dissi no anche ai bar, mantenendo l’iniziale coprifuoco delle 18. Le critiche non sono mancate, ma credo di aver fatto tutto il possibile». È bastato per limitare i danni? «Forse no, perché a marzo ci sono stati 150 morti, contro una media annuale di 25. Ma se guardo altrove, dico che poteva andar peggio. La verità è che si doveva fare la zona rossa. Non so se toccava a Stato o Regione, ma bisognava decidersi. Carabinieri e poliziotti erano già arrivati, poi si sono ritirati. Chi ha dato l’ordine?». Quanto alle presunte pressioni delle grandi aziende della valle, Terzi risponde così: «Io non ne ho avute, tutti davano per scontato il blocco. Semmai ci sono stati tanti errori, a partire dalle mascherine. Sono riuscito a indossarne una solo il 20 marzo. Le poche che avevo, le davo ai miei agenti e ai volontari».

C’è voglia di capire, in valle, ma anche di voltare pagina. Soprattutto a Nembro, che a marzo ha contato 148 vittime (66 in una sola settimana). In piazza Umberto I un pugno di pensionati occupa le panchine: tutti sono seduti a distanza di sicurezza, parlottano tra loro e scrutano i forestieri da dietro le mascherine. La ribalta mediatica non li ha sedotti, basta far spuntare un taccuino per suscitare sguardi sospettosi. Poco più in là, qualche giovane si concede finalmente un cappuccio. «Da 70 colazioni siamo scesi a 15 – quantifica Manuela del Caffè del Borgo – ma piano piano ci riprenderemo». Giancarlo Carrara, parrucchiere del paese da 48 anni, ha già prenotazioni per tre giorni. «Siamo ripartiti sperando di imbroccare tutto: le misure sono tante e non è facile adeguarsi. Ma lo faccio volentieri, alla salute ci tengo. Se non l’abbiamo capita qui, con quello che abbiamo passato...»

La parrocchia ha ripreso le Messe con i fedeli tra mille precauzioni, mentre si pensa già al centro estivo per i ragazzi. «Non sarà quello di sempre – sospira don Matteo Cella – ma ci stiamo organizzando: ce lo chiede una famiglia su due. Se possibile, faremo anche qualche gita in montagna, in piccoli gruppi. La comunità non si ferma, non l’ha fatto nemmeno nei giorni più bui. Con i ragazzi dell’oratorio avevamo organizzato anche la consegna della merenda a casa. I legami si sono per forza ridotti, ma se possibile la distanza li ha rinforzati».
Anche ad Alzano Lombardo, ground zero dell’epidemia, la grande paura non è ancora passata. Antonio Terzi, libraio, la spiega così: «Si riparte non certo a cuor leggero: la preoccupazione c’è e non è poca. Per ora apriamo solo tre ore al giorno, anche noi abbiamo bisogno di un nuovo adattamento. Come chi, dopo un incidente, deve imparare di nuovo a camminare. Sarà la nostra riabilitazione».

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