sabato 15 febbraio 2020
Traffico illecito di rifiuti (nocivi per l’ambiente e la salute) verso Malaysia, Oriente e Nord Africa. Greenpeace: il governo italiano non può più continuare a chiudere gli occhi
Così la plastica italiana va in discariche illegali nei Paesi poveri

Ansa

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Rifiuti che vanno e vengono. Plastiche, vernici, gomme e parti di apparecchiature elettroniche che escono dall’Italia e a volte rientrano come prodotti finiti, di pessima qualità. Escono soprattutto su container, dai principali porti italiani verso il Sud del mondo. Si perché è sempre il Sud (per antonomasia il più povero) a ricevere 'gli scarti' dei Paesi occidentali. Soprattutto quando si parla di plastica. Quella di pessima qualità, che non può essere riutilizzata e che fino a fine 2018 veniva acquistata dalla Cina per essere riciclata. Ma dalla chiusura del Dragone, altri Paesi si sono fatti avanti e rappresentano la 'destinazione' ideale di rifiuti 'ingombranti' in termini di costi di smaltimento. È più semplice (e redditizio) cioè caricare tutto sui container e spedire il carico via mare verso Malaysia, India, Pakistan, ma anche Nord Africa, Yemen e Arabia Saudita.

Come testimonia la denuncia di Greenpeace: più di 1.300 tonnellate di rifiuti in plastica spedite illegalmente dall’Italia in Malaysia. E questo solo nei primi nove mesi del 2019 quando, su un totale di 65 spedizioni dirette nel Paese orientale, 43 risultano illegali in quanto inviate a impianti privi dei permessi per importare e riciclare rifiuti stranieri.

Dati alla mano, secondo i documenti confidenziali ottenuti dall’associazione ambientalista, nei primi nove mesi dello scorso anno, su un totale di 2.880 tonnellate di rifiuti plastici spediti per via diretta in Malaysia, il 46 per cento è stato inviato a impianti privi delle autorizzazioni necessarie.

Dove spesso sono anche i bambini a 'dividere' la plastica buona (che potrà essere riutilizzata) da quella meno buona. Sono in tutto 68 le aziende malesi autorizzate a importare e trattare rifiuti in plastica dall’estero. Molte di queste sono però disposte a farlo illegalmente: la plastica importata (spesso contaminata e derivata da differenziata urbana) cioè non viene smaltita in modo regolare ma spesso abbandonata in discariche abusive.

Aree all’aperto, senza alcuna sicurezza per l’ambiente e la salute umana. Nel corso degli ultimi anni, la Malaysia è diventata una delle principali destinazioni delle esportazioni di rifiuti occidentali in plastica di bassa qualità e di difficile riciclo, pur essendo sprovvista di un sistema di trattamento e recupero efficace e di rigorose regolamentazioni ambientali, alimentando così un mercato globale spesso illegale.

Lo stesso avviene per la più vicina Turchia, dove, sempre l’associazione ambientalista ha denunciato, solo alcuni mesi fa un sito di stoccaggio, completamente illegale, dove sono state individuate confezioni di plastica (derivate anche dalla raccolta differenziata) di prodotti italiani. E, per quanto riguarda i Paesi Ue, anche con la Romania, ad esempio, o la Polonia. Proprio qui infatti è di alcune settimane fa il ritrovamento di un sito di stoccaggio illegale fatto di rifiuti italiani – in parte provenienti dalla raccolta differenziata dei rifiuti urbani – abbandonati in un ex distributore di benzina nell’area di Gliwice. Un team di Greenpeace, recatosi sul posto, ha verificato la presenza di un centinaio di balle di rifiuti in plastica di cui, tra quelle accessibili, almeno 50 di provenienza italiana. Il divieto di importazione sancito dalla Cina dal 1° gennaio 2018 di determinate tipologie di rifiuti ha fatto registrare un cambiamento di rotte, con il coinvolgimento di porti come quello di Ancona (verso i Paesi balcanici e l’Ucraina), Livorno e Genova per i Paesi del Maghreb e dell’Africa centrale. Tra le tipologie di rifiuti vi sono soprattutto plastica e gomma.

La Malaysia è stata il primo importatore di rifiuti plastici italiani nel 2018 e, dato confermato anche nei primi nove mesi del 2019, resta tuttora partner privilegiato dell’Italia, con 7 mila tonnellate importate tra spedizioni dirette e indirette, per un valore di quasi un milione e mezzo di euro. Secondo le analisi del Comando Carabinieri Tutela Ambientale, «l’enorme quantità di rifiuti prodotti in Italia – si legge nell’ultimo rapporto della Direzione investigativa antimafia – e l’elevato costo delle operazione di gestione degli stessi inducono taluni imprenditori a procedere al loro smaltimento esportandoli illecitamente all’estero ». «Rifiuti speciali che alimentano un giro d’affari fatto di milioni di euro: tutto ciò che le aziende non spendono per sottoporre i rifiuti al ciclo del trattamento » spiega il magistrato della Procura nazionale antimafia, esperto di ambiente, Roberto Pennisi. «Eliminare la plastica è impossibile, bisogna imparare a gestire regolarmente la plastica prodotta».

Il fenomeno delle esportazioni illegali di rifiuti dall’Italia «ha assunto ormai dimensioni scandalose. Abbiamo diversi anelli deboli: nella nostra differenziata viene premiata la quantità e non la qualità – denuncia Claudia Salvestrini, direttore di Polieco, il consorzio nazionale per il riciclaggio dei rifiuti in plastica – e poi mancano i controlli e gli impianti di riciclaggio». Polieco da diversi anni denuncia il fenomeno del traffico illecito che non riguarda solo i Paesi asiatici, sempre più mete di esportazione per l’occidente, ma anche Paesi europei che riescono ad essere raggiunti con maggiori possibilità di eludere i controlli. «Il rifiuto viene spedito come merce, ad esempio – aggiunge Salvestrini – con la dicitura ' end of waste' parte verso Paesi Ue e da qui scatta la tringolazione verso Paesi extra-Ue: Italia-Romania, Romania-Turchia, Turchia- Malaysia».

L’esportazione «dovrebbe essere l’ultima ratio, una società tecnologicamente avanzata deve essere in grado di gestire i propri scarti; se non lo è, deve interrogarsi seriamente su quello che sta facendo», dichiara Paola Ficco, giurista ambientale e avvocatessa. Il punto non è, secondo la giurista, se i rifiuti plastici italiani debbano essere spediti in Malaysia, «il punto è che questi rifiuti non dovrebbero essere spediti all’estero». Per Greenpeace, di fronte a questa situazione il governo italiano non può più continuare a chiudere gli occhi, ma deve assumersi le proprie responsabilità e intervenire subito per porre fine a questi traffici illeciti di rifiuti.

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