venerdì 9 dicembre 2016
Il segretario: mi fido di Mattarella, mai un esecutivo contro di me. Domenica colloquio decisivo con il Colle. L'alternativa è Delrio.
La mediazione di Renzi con i dem: Gentiloni premier e voto a giugno
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Nel primo vero giorno di riposo dopo tanti mesi, Renzi riavvolge continuamente il nastro a quel colloquio «disteso» al Colle di mercoledì sera. Il sunto del premier ai fedelissimi è rassicurante: «Il presidente della Repubblica non farà un governo contro di me, non avallerà congiure e manovre di Palazzo». Di più. Renzi, in quella terribile sera di mercoledì, ha capito meglio anche le preoccupazioni del Colle. Ha capito che Mattarella non è contrario per principio alle elezioni anticipate, ma che semplicemente non può concederle con un sistema di voto che è un autentico ginepraio. E se ha resistenze all’idea che lui resti in carica per gli affari correnti, è in qualche modo anche per tutelarlo. «Ha ragione Mattarella – ripete più volte Renzi durante il giorno –. Se resto a Palazzo Chigi anche solo per gli affari correnti il Paese penserà che sono abbarbicato alla poltrona, che non voglio andarmene, che mi sono dimesso per finta. Non è così. Non lascio la politica ma qui per ora il mio lavoro è finito». Sono ragionamenti che portano ad uno sbocco nuovo, ad una «terza via».

Il Pd domani andrà a portare al Colle la posizione ufficiale del segretario e del partito: «O governissimo o voto». Ma è solo una posizione interlocutoria che lascia le cose così come sono. Il colloquio decisivo sarà quello di domenica tra Mattarella e Renzi a telefono. E lì il premier, rassicurato dell’impossibilità di qualsiasi accordo tra l’area franceschiniana e Forza Italia contro di lui, indicherà una strada sinora negata: un nuovo esecutivo fondato sulla maggioranza che appena due giorni fa ha dato la fiducia al Senato sulla manovra. E il candidato numero uno a guidare un nuovo governo è l’attuale ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. In subordine, il titolare delle Infrastrutture Graziano Delrio che, in questa fase politica, appare meno identificabile come 'uomo di Renzi' e quindi potrebbe incassare il gradimento di larga parte del Pd.

Una mediazione, dunque, tra «voto subito » e «arrivare alla fine della legislatura», tra la furia dei renziani e la posizione espressa, ad esempio, dal capogruppo al Senato Luigi Zanda in un’intervista concessa ieri al Corriere. Parole, quelle di Zanda, che hanno fatto sobbalzare dalla sedia il premier uscente. Al punto che ieri, l’uomo 'sospettato' di tramare per prolungare la legislatura, Dario Franceschini, ha dovuto mettere in chiaro le cose: «Non tratto con nessuno, mi viene da ridere. Io seguo la linea del mio segretario». Svanito - o quasi - lo spettro del «complotto », Renzi può dare il via libera ad un esecutivo che ha uno scopo chiaro: fare la nuova legge elettorale, concludere la trattativa con l’Ue sulla manovra e presiedere i due grandi appuntamenti internazionali di marzo (celebrazione a Roma dei 60 anni dai Trattati Ue) e maggio (il G7 di Taormina). La prospettiva è di andare al voto a giugno, massimo inizio luglio. E poi lasciare a un esecutivo nato dal voto la gestione della difficile congiuntura economica del prossimo autunno. Questo scenario sarà illustrato alla Direzione dem probabilmente domenica sera.

Poi Renzi muoverà i successivi passi. Potrebbe chiedere di indire il Congresso e le primarie per marzo-aprile, in modo da mettere subito in moto la sua macchina elettorale e aprire la sfida finale con la minoranza. Non è detto che resti segretario, potrebbe anche lasciare lo scettro ad un reggente di sua fiducia. La sua unica preoccupazione diventerà la campagna elettorale. Anche se, ormai, Renzi si è rassegnato ad uno scenario: «Dovremo digerire una legge elettorale proporzionale, purtroppo. Il prossimo sarà un governo di larghe intese». Il 'sogno maggioritario' è svanito con il referendum. Ma resta la possibilità di capitalizzare quel 40 per cento incassato dal Sì. E non è poco, anche in uno scenario di larghe intese.

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