mercoledì 5 dicembre 2018
Per l'ex procuratore di Palermo «le dinamiche dei clan sono decifrabili solo dopo qualche tempo. E noi soffriamo di emorragia della memoria, come ci ricorda sempre don Ciotti»
L'ex procuratore della Repubblica di Palermo, Gian Carlo Caselli

L'ex procuratore della Repubblica di Palermo, Gian Carlo Caselli

COMMENTA E CONDIVIDI

Per sconfiggere definitivamente "Cosa nostra" si deve «ridurre l’area grigia, le collusioni della mafia con pezzi del potere legale di ogni tipo». Perché «abbiamo vinto tante difficili battaglie ma non ancora la guerra» e «spesso soffriamo gravemente di emorragia della memoria» che «si può estendere al presente e al futuro. Un pericolo per la qualità della nostra democrazia che potremmo pagare caro». È l’analisi e il timore di Gian Carlo Caselli, ex procuratore di Palermo e Torino, e ora presidente onorario di Libera. Parole e riflessioni su cosa sia la mafia oggi, strettamente legata al passato, anche alla luce dell’operazione di ieri (Leggi qui).

Procuratore Caselli, ma "Cosa nostra" non muore mai? Ci eravamo illusi?
Cosa nostra ha subito indubbiamente colpi durissimi, dall’arresto di Salvatore Riina in poi. Catture, condanne, sequestri imponenti di capitali illeciti, segnali di prime incrinature nel muro di omertà. Abbiamo vinto tante difficili battaglie ma non ancora la guerra. Del resto Cosa nostra esiste da oltre due secoli, ma un contrasto serio ed efficace è cominciato solo nel 1982 con l’articolo 416 bis, che proibisce e punisce l’associazione mafiosa. Prima la mafia nel Codice penale non esisteva neppure, e secondo Falcone senza il 416 bis pretendere di combatterla era come illudersi di poter fermare un carro armato con una cerbottana.

Oggi i mafiosi devono però ricorrere a un vecchio boss? E i giovani? Non hanno più seguito?
Premesso che le dinamiche di "Cosa nostra" risultano decifrabili, e non sempre, solo dopo qualche tempo, si può azzardare che il vecchio boss sia stato scelto proprio perché vecchio, cioè come soluzione "interlocutoria". Oppure perché forte più di altri grazie ai collegamenti con la mafia Usa. Quanto ai "giovani", il discorso è ancora più complicato. Perché vi sono anche nuove leve mafiose che provengono dalle tradizionali famiglie, le quali però hanno indirizzato alcuni figli e nipoti a studi universitari in Italia e all’estero. Poi vi sono giovani che sono il prodotto di "assunzioni" riccamente remunerate, capaci di operare sulle piazze finanziarie del mondo. Persone "per bene", colte e preparate, al servizio del business mafioso, e che proprio per questo non devono mai apparire.

La mafia, come emerge dall’inchiesta, fa sempre estorsioni, torna al traffico di droga, ma approfitta anche dei nuovi affari come le scommesse on line. Davvero è mafia 2.0 o è sempre la stessa?
La mafia è sempre stata un mix di vecchio, persino antico, e nuovo e moderno. Droga, estorsioni, rifiuti tossici, appalti truccati, estorsioni e gioco d’azzardo sono sempre state e tuttora sono le fonti principali di arricchimento illecito. Nello stesso tempo le mafie hanno nel loro Dna una straordinaria capacità camaleontica di adattarsi alle caratteristiche di tempo e di luogo in cui devono operare. Così, senza abbandonare i tradizionali interessi, ecco che l’evoluzione quotidiana offre loro sempre nuovi spazi e nuove opportunità che esse sanno intercettare e sfruttare con grande abilità e prontezza. Per cui, parlare di mafia 3.0 è ormai persino "ragionevole". Pensiamo alla telefonata intercettata di recente nella quale un mafioso dice all’altro «non mi interessano quelli che fanno bam bam per le strade, ma quelli che fanno pin pin sulla tastiera». Cupamente chiaro e esplicito...

Cosa manca ancora nel contrasto a Cosa nostra per averne la definitiva sconfitta? Forze dell’ordine e magistratura sono in grado di bloccare ogni tentativo di ricostruzione ma molte inchieste confermano ancora come il potere mafioso sia in grado di condizionare i territori, l’economia e la politica. Non è grave?
Concordo con l’impostazione della domanda. Non c’è giorno senza una qualche rilevante notizia di operazioni antimafia delle forze dell’ordine e della magistratura. Manca però qualcosa. Qualcosa che sappia ridurre l’area grigia, le collusioni della mafia con pezzi del potere legale di ogni tipo. Quello che Carlo Alberto dalla Chiesa chiamava il «polipartito della mafia», il vero nerbo, la spina dorsale del potere mafioso. Inoltre occorrono nuove metodologie investigative, che sappiano seguire oggi più che mai le piste legate al denaro, ai suoi possibili percorsi internazionali, fino alle centrali off shore e ai fondi di investimento internazionali, passando per le monete elettroniche, le criptovalute e le nuove tecnologie del settore finanziario e così via.

Non aver ancora fatto chiarezza sul passato (trattativa e altro) condiziona anche il presente?
Spesso soffriamo gravemente di emorragia della memoria, come ci ripete sempre don Luigi Ciotti. Chiunque voglia dimenticare e farci dimenticare ciò che hanno provato in tema di compenetrazione tra potere criminale e legale i processi Andreotti e Dell’Utri, antesignani del processo "trattativa", di cui troppo poco si parla, vuole di fatto legittimare per il passato un certo modo di fare politica che prevede anche collusioni sistematiche con la mafia. Ma questa legittimazione, proprio a causa dell’emorragia della memoria, si può estendere al presente e al futuro. Un pericolo per la qualità della nostra democrazia che potremmo pagare caro.

Le recenti polemiche che hanno coinvolto il mondo dell’antimafia possono favorire Cosa nostra?
Penso di sì. Quando scomposte e ingiustificate, come spesso accade, sicuramente sì.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI