venerdì 26 agosto 2022
Parla il ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibile. Il bilancio del suo mandato: già raggiunti quasi tutti gli obiettivi del secondo semestre
Giovannini: la crisi ha fatto male al Paese. Serve continuità sul Pnrr

Ansa

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Economista, statistico e accademico, nato a Roma nel 1957, Enrico Giovannini viene chiamato da Mario Draghi nel 2021 per guidare il ministero dei Trasporti, al quale decide di cambiare nome in ministero delle "Infrastrutture e della mobilità sostenibili". Un segnale chiaro della direzione che imprimerà al dicastero e al lavoro nella squadra di governo. Nel 2001 è all’Ocse come Chief Statistician e Director of the Statistics Directorate. Poi nel 2009 assume la presidenza dell’Istat fino al 2013, anno in cui il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano lo nomina tra i "saggi" chiamati a indicare la strada per le riforme istituzionali, all’epoca ritenute necessarie per il Paese in grave crisi. Di lì a poco Enrico Letta, divenuto presidente del Consiglio, lo chiama per affidargli il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. Nel 2016 è tra i fondatori dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (Asvis), una rete di oltre 290 soggetti della società civile impegnata a promuovere nel Paese il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità dell’agenda 2030 dell’Onu. Ne diventa portavoce nazionale, ruolo che ricopre fino alla chiamata dell’ex governatore della Bce. Nel frattempo prosegue anche il percorso da accademico, iniziato nel 2002, quando diventa professore di Statistica economica presso la Facoltà di Economia dell’Università di Roma "Tor Vergata".

A breve lascerà la guida del ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, uno dei più importanti rispetto agli obiettivi del Pnrr, ma nonostante il poco tempo a disposizione, Enrico Giovannini ha cercato di imprimere al proprio dicastero un indirizzo ben definito, in parte plasmato anche grazie alla sua esperienza in ASviS (si veda il cambio del nome) e chiunque prenderà il suo posto, dice, avrà modo di raccoglierne i frutti, a partire proprio dai fondi Ue.

Ministro partiamo dal Pnrr, cosa è stato fatto nel suo ministero e cosa lascerà dopo di lei?
Abbiamo pubblicato a fine giugno un quadro dettagliato della situazione. Abbiamo già raggiunto quasi tutti gli obiettivi stabiliti, compresi quelli previsti nel secondo semestre del 2022, avendo anticipato alcune riforme. Riteniamo che tutto sia sotto controllo per raggiungere i rimanenti, sia in termini di investimenti sia di riforme. Ci sono stati dei ritardi su alcune gare dovuti all’aumento dei prezzi delle materie prime, ma crediamo siano riassorbibili, anche grazie agli interventi del governo per coprire circa 10 miliardi di extracosti.

Chi la seguirà sarà in grado di portare a termine gli impegni previsti secondo lei?
Spero che il futuro governo operi con la stessa tempestività di questo a fronte di eventuali emergenze. Infatti, l’esecutivo ha la possibilità di subentrare alle amministrazioni che non riescono a portare a termine gli adempimenti previsti, ma questo, se necessario, dovrà avvenire nel prossimo semestre, perché altrimenti non ci sarà tempo per definire i contratti. Lasciamo a chi ci sostituirà anche un sistema molto sofisticato di monitoraggio e il nostro credo sia l’unico ministero che ogni tre mesi pubblica lo stato di avanzamento del al Pnrr con annessa valutazione dei rischi. Chi verrà dopo di noi avrà quindi a disposizione un sistema per anticipare le eventuali criticità.

Ma quanto pesa la crisi di governo sul lavoro già avviato?
Per quanto ci riguarda, come ministero, in nove mesi abbiamo fatto due decreti per avviare una serie di riforme, uno a settembre 2021 e un altro a giugno. Credo sia un record. In questo modo abbiamo anche anticipato alcune riforme Pnrr immaginando che ci sarebbero stati problemi verso la fine della legislatura. Ma al di là del Pnrr, le posso dire che questa interruzione pesa su dossier decisivi. Il più importante è quello della legge per la rigenerazione urbana, attesa almeno da due legislature. Ci abbiamo lavorato un anno, il Senato era pronto a votare il testo e avevamo previsto un iter molto rapido, ma tutto questo si è interrotto: un vero peccato. Poi la legge di bilancio: se il governo fosse rimasto in carica avrebbe potuto farla in continuità per completare il finanziamento di interventi strutturali avviati in questi 18 mesi, come l’alta velocità Salerno-Reggio Calabria e la velocizzazione della linea Adriatica. Posso solo sperare che ci sia continuità con questo tipo di investimenti fondamentali per il Paese.

Ma secondo lei un eventuale governo a trazione FdI avrà la stessa credibilità e capacità di operare in Europa di questo?
Non so rispondere a questa domanda. Abbiamo fatto un’analisi dei programmi elettorali e abbiamo notato con piacere una certa continuità con l’impostazione realizzata in questo anno e mezzo, descritta nel piano strategico per le ferrovie e per le strade, che non esistevano, e in quello per la mobilità ciclistica, cui si aggiungeranno a breve quelli per gli aeroporti e per lo spazio marittimo. Questo per dire che accanto agli oltre 100 miliardi aggiuntivi di investimenti abbiamo compiuto uno sforzo straordinario di pianificazione. Ovviamente, bisognerà vedere se la visione futura sarà in linea con la nostra: penso alla mobilità ciclistica, ad esempio, dove è stato fatto un forte investimento. È questa la strada verso la quale si vuole andare o invece, come scritto da qualche partito, nelle città bisogna limitare la mobilità ciclistica a favore di quella 'tradizionale'?

Tornando ai programmi, una misura come la flat tax è compatibile con questa visione?
Mi sono limitato all’analisi dei programmi per ciò che riguarda le nostre competenze, non sono in grado di rispondere.

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