sabato 3 dicembre 2016
La chiusura in piazza dei due leader tra Firenze e Torino. Renzi: «Possiamo portare a casa una rimonta spettacolare»
La caccia frenetica agli indecisi E Grillo evoca la «sconfitta»
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Come in un grande gioco dell’oca. La campagna elettorale si conclude nello stesso punto in cui era iniziata: il dibattito su cosa accadrà al governo lunedì mattina. Non era ciò che voleva Renzi, deciso invece a dare la caccia agli indecisi sino all’ultimo secondo. È un segno di paura del fronte del «Sì» a poche ore dall’apertura dei seggi.

Cui corrisponde però un segno di paura anche dall’altra parte del campo: «Se perderemo sarà una sconfitta meravigliosa...», accenna Beppe Grillo a conclusione del suo comizio finale a Torino. Gli fa da contraltare il capo del governo: «Possiamo portare a casa una rimonta spettacolare » Ma il fatto che spacca in due la giornata non accade in piazza, bensì in televisione. Un’agenzia di stampa attribuisce al ministro Graziano Delrio una frase secca: «Se vince il 'no' Renzi si dimetterà». Scorrono minuti di panico a Palazzo Chigi. È esattamente il messaggio di scoramento che il premier non voleva dare. È esattamente ciò che allontana i non-renziani tentati dal «sì» al referendum. Poi arriva la correzione di rotta, il chiarimento. In trasmissione Delrio si era limitato a dire che «in caso di vittoria del no Renzi si recherà al Quirinale dal presidente della Repubblica e si prenderà atto».

La parola «dimissioni» la dice la conduttrice della trasmissione, Bianca Berlinguer. Ma la fretta con cui gli staff di Renzi e Delrio provano a rimettere le cose a posto è indicativa dello stato di tensione. Addirittura in serata arriva anche un’ulteriore nota esplicativa del ministero, segno che il premier non ha gradito troppo la fuga in avanti: vi si dice che Delrio, con le sue parole, non ha fatto altro che esprimere la «disponibilità » di Renzi a valutare il percorso post-voto con Mattarella.

Una pezza su parole troppe impegnative. Non è tempo di ipoteche sul futuro. Cosa voleva comunicare ieri, invece, Renzi, nelle sue tappe a Palermo, Reggio Calabria, Catania e Firenze? «Nelle prossime 48 ore si decidono i prossimi 20 anni», carica il premier. Il risultato, spiega, «è totalmente aperto. Andiamoci a prendere gli indecisi. La maggioranza silenziosa aspetta di essere presa per mano. Se vince il 'sì' l’Italia sarà più forte in Europa. Se passa il 'no' restano 945 parlamentari, il Cnel, le Province, le indennità». E il suo futuro politico? «Io posso lasciare la poltrona anche lunedì mattina...», azzarda. Tra questi indecisi non ci sono «quelli che sarebbero stati con noi solo se gli avessi dato una poltrona».

Invece al suo fianco Renzi si è trovato «tanti del centrodestra: insieme a loro cambieremo il Paese». Poi spiega: «Al Quirinale c’è un galantuomo come Mattarella. Nei momenti di crisi il capo dello Stato è una valvola di sicurezza. Gli italiani possono stare tranquilli, siamo in ottime mani ». Non è una smentita di ciò che dice Delrio, è un modo diverso di dire le cose che lascia aperte più possibilità. È altamente probabile che Renzi, con la vittoria del «no», si presenti dimissionario al Colle. Ma se avrà un re-incarico, se lo accetterà, se lo declinerà, dipenderà dall’esito del voto. Ma, una cosa è certa, proprio ieri il premier non voleva caricare a molla quella parte d’Italia che nel referendum vede l’occasione di mandarlo a casa. «Se vince il 'no' – ci ritorna su il premier nelle ultime interviste televisive – cosa succede lo decide il Partito democratico. Dal punto di vista costituzionale la gestione è facilmente prevedibile, mentre sul versante istituzionale il Paese andrebbe incontro a un salto in un’area non chiara».

Se Renzi chiude il suo lunghissimo e forsennato tour elettorale in piazza della Signoria a Firenze (presente anche la moglie Agnese, l’attesa dell’arrivo del premier è stata ingannata con la distribuzione di caldarroste e vin brulé), Beppe Grillo invece sceglie la città-simbolo dell’ascesa M5S, Torino. Intorno a lui tutti i big del Movimento, con ruolo d’onore per Di Battista, Di Maio e i sindaci Raggi e Appendino.

C’è anche un video che ricorda, tra gli applausi, Casaleggio padre e Dario Fo. Ma la star è l’ex comico genovese. «L’Italia è già spaccata, comunque vada», avverte Grillo. È un antipasto del clima che si respirerà nel Paese da lunedì. Poi l’invito: «Votate con la pancia. È nella pancia che nasce tutto. M5S è nata per colpa della mia gastrite». È sin troppo evidente che entrambi gli schieramenti hanno di fronte lo scenario del testa a testa all’ultimo voto. Da un lato caricano, dall’altro mettono le mani avanti. E le tensioni intorno al voto all’estero dimostrano come la partita potrebbe giocarsi sui «zero virgola». Lo scontro furioso Renzi-Grillo, con parole e accuse pesanti e reciproche, è il contesto ideale per la campagna elettorale attendista di Berlusconi. Che può consentirsi parole serene, istituzionali. Dalla rassicurazione che con il «no» un esecutivo continuerà ad esserci, fosse anche ancora a guida Pd, all’apertura ad un originale tavolo per la legge elettorale con Di Battista e Di Maio. Così sereno, Berlusconi, e convinto di trarre vantaggio da qualsiasi esito, che ieri ha fatto traballare anziché solidificare l’asse di centrodestra: «Salvini non può essere il leader, i moderati non lo voterebbero, ce lo dicono diversi sondaggi ». A compattare i ranghi devono essere gli altri.

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