sabato 15 giugno 2019
Descalzi: «Sono entusiasta. È importante avvicinare, anche fisicamente, chi può contribuire»
Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, invitato tra gli altri alla riunione di confronto in Vaticano sull'emergenza climatica. Al centro del dialogo gli sforzi comuni per ridurre le emissioni di anidride carbonica («ognuno spieghi che cosa intende fare») ma anche il ruolo dei Paesi poveri e la necessità di cambiare il modello di sviluppo: «Occorre scegliere di ridurre le distanze tra chi ha chi non ha, altrimenti sono disastri»

Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, invitato tra gli altri alla riunione di confronto in Vaticano sull'emergenza climatica. Al centro del dialogo gli sforzi comuni per ridurre le emissioni di anidride carbonica («ognuno spieghi che cosa intende fare») ma anche il ruolo dei Paesi poveri e la necessità di cambiare il modello di sviluppo: «Occorre scegliere di ridurre le distanze tra chi ha chi non ha, altrimenti sono disastri»

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Claudio Descalzi è «entusiasta » di com’è andata. A poche ore dal termine della riunione organizzata in Vaticano dal Papa per mettere a confronto sull’emergenza climatica i più grandi manager dell’industria petrolifera, quelli della finanza e gli scienziati, l’amministratore delegato di Eni non nasconde di essere non solo «molto soddisfatto» ma autenticamente «contento ». L’iniziativa avviata da Francesco e realizzata dal cardinale Peter Turkson con un primo appuntamento nel giugno del 2018 replicato giovedì e ieri è qualcosa che evidentemente sta portando un contributo anche “di umanità” alla collaborazione contro il riscaldamento globale.

Qual è il bilancio di questo secondo incontro tra i “petrolieri” e il Papa? Francesco ha inventato con coraggio qualcosa di nuovo e ha raggiunto un obiettivo importantissimo: avvicinare, anche fisicamente, tutte le componenti del mondo dell’energia che possono dare un contributo contro l’emergenza climatica. Eravamo i Ceo delle principali società del settore e dei più grandi fondi di investimento, c’erano gli scienziati e gli esperti delle tecnologie. È stata un’occasione unica per stare insieme e confrontarci in modo aperto, interessante e costruttivo, sia su aspetti tecnici che su aspetti valoriali. Francesco ascoltava, interveniva, rispondeva alle nostre domande. Si avvertiva la passione e l’entusiasmo di tutti.

Gli impegni firmati su carbon pricinge disclosures sulle azioni per la decarbonizzazione confermano che questi appuntamenti producono risultati concreti. Senza dubbio: quest’anno abbiamo cercato di creare una coalizione tra noi e gli investitori che verificando le nostre azioni e condividendo le nostre strategie sono una parte fondamentale nel processo di riduzione delle emissioni in cui ci siamo incamminati come settore. Gli statement che abbiamo firmato sono passi importanti. Quello sulla disclosures stabilisce che ogni azienda dovrà dichiarare con chiarezza che cosa sta concretamente facendo per la transizione energetica. Gli investitori che accompagnano le nostre strategie in questa direzione si impegnano a riconoscere il valore che stiamo producendo, un valore che non sempre coincide con il profitto a breve termine.

La finanza sta crescendo enormemente. Avvertite questa pressione finanziaria per obiettivi ambientali, sociali e di governance? Gli investitori sanno fare selezione. Penso al fondo sovrano norvegese che taglierà gli investimenti sul settore degli idrocarburi ma mantiene Eni, come altre grandi società del settore, tra i suoi investimenti. Sanno riconoscere gli sforzi importanti che facciamo dal 2014 sulla decarbonizzazione e vedono il grande contributo che stiamo dando alla transizione energetica: dalla ricerca sulle rinnovabili, per le quali investiamo 3 miliardi di euro nel nuovo piano industriale, allo sviluppo di soluzioni innovative di economia circolare come quelle che sperimentiamo nella bio-raffineria di Gela, che usa olio di palma e olio esausto alimentare. Il mondo finanziario ha scelto in modo forte di condividere obiettivi che stiamo già perseguendo.

L’altro accordo firmato ieri è quello del carbon pricing. Perché è così urgente fissare regole internazionali sulle emissioni? Il punto è che è necessario fare pagare chi emette CO2. Noi in Europa abbiamo creato la nostra borsa delle emissioni, come hanno fatto anche altri Paesi, penso al Canada e alla Nuova Zelanda. Questo è però un concetto che deve essere applicato a livello mondiale: il pianeta è lo stesso per tutti, occorrono regole omogenee. Altrimenti rischiamo che chi produce CO2 in Europa, dove le emissioni si pagano, sposti l’attività in aree del mondo dove non ci sono sistemi che le disincentivano. Con il risultato che la CO2 prodotta a livello mondiale non scende.

L’impressione è che dopo gli accordi presi con Cop21 ogni Paese sia tornato a curarsi soprattutto dei suoi interessi. Firmare l’accordo di Parigi non si può limitare all’impegno a ridurre le emissioni. Quello è un obiettivo, ma bisogna spiegare come si intende raggiungerlo. L’Europa da questo punto di vista è quella più avanti e l’Italia, che ha toccato il 40% di energia rinnovabile, ha fatto grandi progressi. Dobbiamo fare in modo che le norme che funzionano siano estese ad altre aree del mondo.

Che ruolo hanno, in tutto questo, i Paesi più poveri? La vicinanza tra aziende, investitori, scienziati deve tradursi in vicinanza tra quella “piccola isola” che sono i Paesi sviluppati e il grandissimo Continente dei Paesi non sviluppati. Occorre sviluppare la vicinanza tra i gruppi sociali, perché sono quelle distanze che creano poi i disastri e le guerre. Questa è una necessità etica ed esistenziale. Per questo il problema non solo i parametri ambientali: con il Papa abbiamo discusso della necessità di cambiare il modello di sviluppo.

Cambiare modello in quale direzione? Penso all’Africa, dove Eni opera da decenni. Ci sono milioni di africani che non hanno accesso all’elettricità: dobbiamo garantire loro l’accesso all’energia e per riuscirci occorre scegliere di ridurre le distanze tra chi ha e chi non ha. Devo dire che Eni ha maturato questa consapevolezza prima di molti altri. Siamo probabilmente gli unici a investire 2,5 miliardi di euro per l’accesso all’energia in Africa e abbiamo fatto la scelta coraggiosa di lasciare il gas in molti dei Paesi in cui operiamo per produrre elettricità per la popolazione locale.

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