martedì 24 marzo 2020
Hanno deciso di vivere insieme agli anziani ricoverati nella casa di riposo dove prestano la loro opera, tutto il giorno e tutta la notte
Gli operatori della Rsa di Morimondo, nel Milanese

Gli operatori della Rsa di Morimondo, nel Milanese - .

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Hanno deciso di vivere insieme agli anziani ricoverati nella casa di riposo dove prestano la loro opera, tutto il giorno e tutta la notte. Per evitare contatti con l’esterno e proteggere gli ospiti da possibili contagi da coronavirus. È una scelta di volontaria autoreclusione quella fatta all’unanimità dagli operatori della Rsa Riccardo Pampuri di Morimondo, che da giovedì 19 vivono 24 ore su 24 all’interno della struttura per garantire la massima assistenza e protezione alle sessanta persone che vi sono ricoverate.

«La proposta è nata da alcuni di noi che si sono interrogati sul comportamento più adeguato da tenere in tempi così difficili, in cui tutto viene messo alla prova – racconta al telefono la caposala Sabina Saccani –. Qui per ora stanno tutti bene, le visite dall’esterno erano già state sospese tre settimane fa, ma nei paesi della zona i casi di coronavirus stanno aumentando, soprattutto nella popolazione anziana, e volevamo evitare che anche noi ci venissimo a trovare in situazioni analoghe a quelle di altre case di riposo, con il contagio che si propaga e gli ospedali che non sono più in grado di accogliere tutti i malati». Il personale della cooperativa 'L’Airone' che si occupa della struttura è composto da sette ausiliari socio–assistenziali, tre infermieri, due addetti alle pulizie e un’animatrice. Hanno sistemato dei materassi per dormire di notte nella palestra, il cibo per loro e per gli anziani è fornito dalla mensa che si trova in un ambiente separato dal ricovero e viene lasciato sui carrelli in una zona–filtro fuori dalla porta d’ingresso per scongiurare possibili contagi.

«Siamo una squadra unita e determinata, le nostre famiglie hanno capito e condiviso il senso di una decisione così radicale, che è dentro la logica di chi ha scelto di fare lavori come questi e comporta sacrifici finalizzati a garantire il benessere degli ospiti. Loro sono molto grati di vederci sempre attorno a loro. Durante la prima notte nessun campanello è suonato, era il segno che si sentivano protetti. Qualcuno ha pianto per la gratitudine e in questi giorni si respira un clima insolitamente tranquillo.

Forse percepiscono di essere abbracciati dalla nostra disponibilità». E forse quello che sta accadendo in quel luogo ha qualcosa a che fare con la persona a cui è stata intitolata: Riccardo Pampuri, proclamato santo da Giovanni Paolo II nel 1989, che proprio nelle campagne di Morimondo lavorò come medico condotto dal 1923 al 1927, prima di trasferirsi nella vicina Trivolzio dove oggi è conservato il suo corpo, per poi entrare nella congregazione dei Fatebenefratelli. In quegli anni il “santo dottore”, come veniva chiamato dalla gente del posto, offrì una testimonianza di fede e di generosa dedizione ai poveri che ha lasciato un segno indelebile, come dimostra la devozione di cui è ancora oggetto.

Anche per questo la Fondazione che gestisce la residenza, inaugurata nel 1999, ha deciso di intitolarla al suo nome. In una sala è collocato un quadro che lo raffigura nell’atto di curare un malato in una casa di Morimondo, mentre sullo sfondo è stata dipinta l’abbazia cistercense che ha reso celebre questo piccolo paese lombardo. Quanto tempo durerà questa forma di autoreclusione? «Impossibile prevederlo, ovviamente tutti speriamo il meno possibile – risponde Sabina Saccani –. Cerchiamo di sostenerci vicendevolmente fra noi, ogni mattina ci guardiamo in faccia, ci si confronta sulle cose da fare e si riparte. Siamo fiduciosi, e vediamo con piacere che c’è anche chi ci aiuta da fuori: ieri sera un ristorante di Morimondo ci ha portato le pizze».

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