venerdì 7 giugno 2013
​L’associazione La Nostra Famiglia ha versato 720mila euro: «Ci costringono a tagliare progetti e bandi, serve più equità».

L'allarme degli scienziati: «Siamo in ginocchio»
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​Settecentoventimila euro. Per la precisione, 719.618. L’equivalente di almeno dieci progetti di ricerca condotti per un arco di tempo che va dai due ai quattro anni, di una trentina di bandi, di chissà quante borse di studio. Nel 2012 l’associazione La Nostra Famiglia, che da più di 60 anni si occupa di bambini con disabilità nei propri centri sparsi in tutta Italia e nell’istituto Eugenio Medea (l’unico riconosciuto a livello nazionale per la ricerca e la riabilitazione nello specifico ambito dell’età evolutiva), li ha pagati allo Stato. Di Imu.Un conto salatissimo per un ente che, come altri, ha il merito di sopperire alle lacune della sanità pubblica, di dare speranza e dignità a pazienti che altrove non ne avrebbero e – non ultimo – di offrire formazione e visibilità ai giovani ricercatori in cerca di futuro nel nostro Paese. «Non basta». Marco Sala è il direttore generale dell’associazione: ha preso carta e penna e ha scritto ad Avvenire perché «a un certo punto bisogna dirlo, ecco». Che non è giusto. E che, in ogni caso, serve una misura: «Noi siamo presenti con 30 sedi di dimensioni tra loro molto diverse in 6 regioni d’Italia e abbiamo sempre pagato l’Ici per le nostre strutture», spiega.Sessantamila euro fino all’anno scorso, quando la nuova tassa sugli immobili è caduta come una mannaia sugli enti non profit dediti alla ricerca. Questi ultimi, infatti, secondo la legge non fanno parte di quelli esentati dal pagamento («attività assistenziali, previdenziali, sportive, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive»): «Pagavamo anche prima – continua Sala –. Il problema è che da un anno con l’altro ci siamo trovati a versare dodici volte di più. Avevamo, sulla carta, soltanto la possibilità di “frazionare” gli spazi, dichiarando in quali svolgiamo attività commerciali e in quali no». Che per una struttura d’eccellenza per la riabilitazione infantile come quella di Bosisio Parini (un polo da 182 posti letto, di cui 147 in ricovero ordinario, 35 per ricoveri in day hospital, 55 aree per attività riabilitativa ad alta complessità, 12 ambulatori e 10 posti letto di comunità terapeutica) è impossibile: lì, nella stessa palestra, o nella stessa piscina, al mattino ci sono i pazienti del Servizio sanitario nazionale, al pomeriggio i solventi, alla sera i bambini delle elementari della zona.«Ma il punto, qui, è un altro», continua Sala. Il punto è la ricerca. Perché settecentomila euro da destinare alle casse erariali non si trovano certo tagliando servizi ai degenti, stipendi al personale infermieristico, spazio e attrezzature alle strutture. E allora? «Allora i soldi si tolgono alla ricerca. Lungi da noi non voler pagare, ma servirebbe almeno un principio più equo. Con un conto del genere sono tanti i progetti che vanno in fumo – continua Sala –. Proprio in questi giorni una nostra ricercatrice è stata premiata, insieme a 4 colleghe, per uno studio sui disturbi del linguaggio e dell’apprendimento nei neonati. Chissà se un successo simile sarà ancora possibile, in futuro...».E pensare che sui giornali e in televisione è un fiorire di appelli per la ricerca, priorità assoluta di ogni partito e progetto politico, stella polare indicata più volte dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, dal governo Monti prima e da quello Letta ora: «Nella realtà, invece, chi fa ricerca è messo nella condizione di non poterla più fare – aggiunge Sala –. Lo Stato invece che sostenere chi, occupandosi di ricerca e assistenza, guarda al futuro dei bambini, ci punisce». Quei 719.618 euro l’associazione La Nostra Famiglia avrebbe potuto investirli e in tecnologia e progetti per una migliore qualità di vita: «Sarebbe bello, visto che l’Imu ha generato entrate maggiori rispetto alle previsioni, che si pensasse a un rimborso, vincolato a un investimento per giovani ricercatori, per gli enti che fanno ricerca. Potremmo essere anche un modo per trattenere giovani talenti nel nostro Paese». Ma questo, per ora, resta un sogno.
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