venerdì 14 dicembre 2012
A tre giorni dalla scadenza, non ci sono indicazioni ancora inequivocabili e gli istituti non sanno come affrontare la questione Alcuni sono orientati a versare comunque quanto dovuto. L’Ufficio scuola della diocesi di Treviso ha preferito invece suggerire una pausa: non si paga finché non c’è chiarezza.
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​A tre giorni dalla scadenza per il pagamento del saldo dell’Imu, regna ancora una grande confusione che lascia sconcertato il mondo della scuola paritaria, alla ricerca di una indicazione chiara sul da farsi: pagare subito, aspettare a pagare o non pagare affatto? E neppure il governo, a cui spetterebbe dire una parola chiara, sembra in grado di pronunciarla.Lo si è capito l’altro giorno quando il sottosegretario all’Economia e alle Finanze, Vieri Ceriani è intervenuto in commissione Finanze della Camera dei Deputati per rispondere a un’interrogazione presentata dai parlamentari del Partito democratico Simonetta Rubinato, Rosa De Pasquale e Alberto Fluvi proprio per richiedere chiarimenti sui criteri e sui parametri per l’esenzione dal pagamento di questo tributo. Il sottosegretario Ceriani nella sua risposta, di fatto, ha ripercorso la storia del regolamento, ma non ha fornito nuove informazioni. «Il Dipartimento delle Finanze – ha risposto il sottosegretario – evidenzia che le disposizioni del Regolamento tengono conto dei principi comunitari, anche allo scopo di evitare il rischio di una procedura d’infrazione avente a oggetto il nuovo quadro normativo», cioè il rischio di essere sanzionati considerando l’esenzione per le scuole paritarie dall’Imu come «un aiuto di Stato». Una tesi paradossale, quest’ultima, visto che negli altri Paesi europei la scuola non statale è finanziata e sostenuta dai governi, tanto da rendere - in quei casi - «simbolico» o «parziale» il pagamento di una retta. Ma in Italia la situazione è completamente differente, con un contributo economico alle paritarie – questo sì – «simbolico» e tale da rendere indispensabile la presenza delle rette, che certo non possono essere simboliche e che spesso coprono il 50% e più (e dunque non «una frazione») delle spese complessivamente sostenute dagli istituti scolastici paritari.E proprio sulla definizione di questa «frazione» i parlamentari attendevano una risposta dall’esponente del governo, che di fatto ha confermato che ancora l’altro giorno «sono in corso approfondimenti istruttori in merito all’eventuale individuazione di parametri di riferimento oggettivi che possano guidare l’attività di accertamento degli enti impositori rispetto alla valutazione dei corrispettivi». In parole più semplici non ci sono ancora i parametri secondo i quali gli esattori possano controllare «se» e «quanto» ogni singola paritaria dovrebbe pagare.Insomma la confusione regna sovrana e a farne le spese sono le scuole paritarie, che, in assenza di una parola chiara da parte del governo, chiedono alle associazioni di categoria e ai rappresentanti delle diocesi per la scuola, qualche indicazione. E anche in questo caso le risposte sono differenti. Ieri il direttore dell’Ufficio amministrativo della diocesi di Treviso, don Mauro Motterlini ha invitato le parrocchie «a non versare niente per le scuole paritarie entro il 17 dicembre visto che i regolamenti e le circolari non fanno piena chiarezza». Ma altre diocesi invitano, invece, a pagare comunque l’Imu nel caso le rette coprano il 50% e oltre dei costi totali, per evitare eventuali contenziosi fiscali in futuro. Unica certezza per ora: la confusione.
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