martedì 10 gennaio 2023
Il racconto di famiglie di passaggio a Milano, dopo aver attraversato boschi e fiumi gelidi per raggiungere la Germania
Fuggiti da Kabul e Teheran. «Ma in Italia non c'è posto»
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Ramez saltella felice mentre prova un pile pulito che le procura una volontaria. A otto anni, dopo più di tre settimane di viaggio dall’Afghanistan – alcune tratte in bus o in treno, l’ultima parte a piedi – questo scantinato dell’associazione Rete Milano, che in zona Lambrate fa da ricovero d’emergenza e deposito di vestiario per i profughi, deve sembrarle un posto incantato. Le sue lunghe trecce nere si agitano nell’aria mentre guarda sua madre, i fratelli e un paio di cugini – sette persone in tutto – indossare finalmente vestiti caldi, puliti e scarpe quasi nuove addirittura, al posto delle ciabatte che uno dei ragazzi calzava ieri all’arrivo in stazione Centrale.

Ramez e la sua famiglia sono solo una parte dei migranti che arrivano ogni giorno a Milano dopo aver percorso la “rotta balcanica” dalla Turchia. Un flusso che in queste settimane si è molto intensificato per le sempre più numerose partenze proprio da Afghanistan e Iran, dove i due regimi integralisti stanno chiudendo ogni residuo spazio di libertà e, in particolare a Teheran, conducendo una violenta repressione con torture e condanne a morte di chi manifesta per i diritti delle donne e di tutti i cittadini. «Non è più possibile vivere a Kabul – ci racconta Sardar, 18 anni, uno dei fratelli di Ramez, “rinfrancato” da una notte passata finalmente in un letto –. Troppe regole, troppo opprimenti e poco lavoro, poco da mangiare».

Per questo si parte. Anche se è inverno, anche se fa freddo. Si affronta un viaggio difficile all’inizio, peggiore nelle tappe intermedie dalla Bosnia in poi. Quando ai pericoli del percorso – il gelo delle notti nei boschi e l’attraversamento di fiumi gonfi e freddi: «Con l’acqua fino alla vita e la bimba in braccio abbiamo avuto paura», raccontano – si possono aggiungere le violenze di gruppi paramilitari e, secondo alcune testimonianze, della stessa polizia croata. Durante il “game”, com’è chiamata questa parte del viaggio, infatti, non è raro imbattersi nei cadaveri di chi è morto per il freddo, come hanno riportato alcuni ragazzi arrivati a Milano settimana scorsa, o in migranti senza scarpe e con i segni delle percosse delle forze dell’ordine che li hanno respinti.

Nulla di nuovo, purtroppo. Se non appunto che in queste settimane, nonostante sia la stagione peggiore per migrare, si assiste a un flusso continuo di arrivi e ripartenze di profughi da Afghanistan e Iran che necessitano di un’assistenza. «Passo tutti i giorni in Centrale e da settembre trovo almeno 2 o 3 ragazzi, quando non intere famiglie iraniane. Appena sentono che parlo persiano si avvicinano per chiedere aiuto», spiega Bahram (nome di fantasia) rifugiato politico iraniano, arrivato in Italia nel 2012 e oggi impiegato in un grande gruppo.

Dopo il lavoro, fa il volontario per l’associazione Rete Milano, procurando coperte e sacchi a pelo a chi si ferma in Centrale per una o due notti prima di cercare in altri Paesi rifugio e futuro. «Spesso, però, ci sono coppie con minori che non possono dormire in stazione: è troppo pericoloso e fa troppo freddo ora – spiega –. Per loro cerchiamo accoglienza per una notte in un appartamento a disposizione dell’associazione o da privati. Ma non ci sono posti abbastanza per tutti quelli che stanno fuggendo in questo periodo dall’Iran. Sono soprattutto giovani, minacciati d’arresto per aver manifestato che hanno bisogno di scappare subito».

Finora, racconta ancora Bahram, «nessuno di loro ha voluto fermarsi a Milano. Il 90% vuole andare in Germania, qualcuno in Belgio o in Olanda. Perciò l’aiuto che serve – un pasto caldo, delle coperte, una notte in un luogo protetto – è davvero temporaneo ma estremamente necessario. Quando arrivano qui a Milano queste persone sono stremate dalla fatica e dal freddo, impaurite da ciò che hanno visto e vissuto lungo il cammino. Non possiamo far finta di non vederle e abbandonarle».

Il problema è che alla cronica insufficienza dei luoghi d’accoglienza si uniscono le difficoltà legali–burocratiche per queste persone in viaggio – ribattezzate “transitanti” – che non vogliono farsi registrare per non essere costrette, secondo quanto prevedono le norme del Regolamento di Dublino, a presentare domanda di asilo politico nel nostro Paese e rimanere bloccate qui fino alla definizione della loro posizione, senza poter raggiungere le mete desiderate dove possono contare su reti parentali e amicali per trovare accoglienza e opportunità di lavoro. «Il nodo – spiegano all’assessorato al welfare di Milano – è che i Comuni non possono aiutare i “transitanti” non registrati, se non con interventi d’emergenza all’interno del “Piano freddo”. Possono essere accolti nei mezzanini della Centrale assieme agli altri senza dimora, dopo essere passati dal centro di via Sammartini».

«Questo però non basta, il bisogno è maggiore dei posti messi a disposizione, soprattutto dopo che è stato precluso l’accesso al dormitorio di Porta Vigentina. Le famiglie di “transitanti” hanno necessità di un’accoglienza più strutturata – spiega Fausta Omodeo, presidente di Rete Milano –. Associazioni come la nostra, come Opera San Francesco e Caritas fanno il possibile con i pasti caldi, ma serve un aiuto molto più consistente da parte del Comune. In altre città ci sono case–rifugio sostenute dagli enti locali, perché a Milano no?».

Il flusso di profughi da Siria, Afghanistan e soprattutto Iran, infatti, è destinato a crescere ancora. «La repressione in Iran si sta facendo sempre più cruenta e questo spingerà moltissimi giovani a cercare asilo politico altrove per non essere condannati a morte o torturati – conclude Barham –. Le lotte dureranno a lungo, forse un anno. Ma questa volta vinceremo, il governo degli ayatollah cadrà, deve cadere».

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