giovedì 17 gennaio 2019
La Penisola sarebbe tagliata fuori dalle vie dello sviluppo europee, Trieste e Genova a rischio di veder deperire i loro traffici
Tav, il «no» alla Torino-Lione è un regalo a Francia e Germania
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Il leader storico di Force ouvrière, il sindacato francese anti-marxista, Marc Blondel, proveniva dall’associazionismo degli insegnanti, e a chi gli faceva notare l’aumento del costo dell’istruzione rispondeva serafico: «Sono certo che quello dell’ignoranza è maggiore e cresce ad un tasso più veloce». Questo aneddoto calza perfettamente per il 'caso Tav'.

Una commissione di giuristi sta esaminando i costi finanziari per l’Erario, nonché le implicazioni legali legate al ritirarsi unilateralmente da accordi firmati da governi e ratificati da Parlamenti italiani. Le stime preliminari che circolano si aggirano sui 4 miliardi di euro, più o meno quanto il costo per l’Italia del completamento dell’opera, cioè 4,8 miliardi. A rimborsi e penali, si dovrebbe poi aggiungere il costo del ripristino del territorio (dato che 30 chilometri di tunnel sono stati già scavati), nonché i costi per dare misure minime di sicurezza alla galleria esistente che risale al 1856, insicura oltre che lenta. Per tale adeguamento ci vorrebbero, secondo l’Osservatorio per la Torino-Lione, tra 1,4 e 1,7 miliardi. Il percorso, però, resterebbe tale da far passare solo i treni corti e leggeri.

Questi numeri, semplici ma non grossolani, se confermati dalla commissione ministeriale dicono in modo eloquente che fare marcia indietro costerebbe molto di più che completare l’opera. Ma il vero costo di una rinuncia sarebbe il danno, per l’Italia e per tutta l’Europa, legato all’impedire una linea rapida ed efficiente di trasporto merci e passeggeri nella parte meridionale dell’Unione Europea. Le nove analisi economiche fatte in passato sottolineano come da questa eventuale scelta il Paese più danneggiato sarebbe il nostro e i più avvantaggiati Francia e Germania.

Negli Anni Novanta, all’inizio dei negoziati sul corridoio, Parigi era poco entusiasta poiché aveva già in mente un percorso alternativo (che ha completato), mentre Berlino era favorevole a un 'passaggio' a sud delle Alpi perché preoccupata dell’ingolfarsi delle infrastrutture nel proprio territorio. In effetti, da anni già funziona una rapidissima Lione-Monaco di Baviera da cui si arriva velocemente a Berlino, per poi proseguire sino a Kiev e (in periodo di non belligeranza) a Mosca. In caso di rinuncia dell’Italia, la Francia potenzierebbe (con una piccola parte delle restituzioni e penali incassate dall’Italia) la Lione-Monaco e la Germania accelererebbe il programma già esistente per potenziare la Monaco-Berlino.

Si farebbe un regalo, insomma, soprattutto ai cugini tedeschi accentuando la rotta europea dello sviluppo (anche in termini di maggior produttività) che passa per la Baviera, la Sassonia, il Magdeburgo, sino a Berlino. E si penalizzerebbe l’Italia. Si sarebbe in piena contraddizione con quanto hanno più volte scritto e detto i ministri Paolo Savona (Affari europei) e Tria (Economia), a proposito dell’esigenza di riequilibrare la via dello sviluppo verso un asse più meridionale. Avranno, loro, voce in capitolo?

C’è chi sussurra che i treni-merci, lunghi e pesanti, potrebbero transitare dal Gottardo, dal Brennero, dal Loetschberg, tutti tunnel al di fuori però del 'corridoio' meridionale. Ciò porterebbe ancora una volta le merci italiane più a nord e faciliterebbe la crescita della Germania rispetto a quella dell’Italia. I porti di Genova e Trieste deperirebbero. E l’Italia (non solo il Nord) resterebbe isolata dalla via dello sviluppo.

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